Un quinto di tutto il cibo prodotto nel mondo viene sprecato. A calcolarlo è il secondo rapporto sul cibo dell’UNEP (il Programma ambientale delle Nazioni Unite) relativo allo spreco di alimenti sul pianeta, che è stato pubblicato in questi giorni ma che fa riferimento ai dati relativi al 2022.
Il documento è stato presentato anche a Nairobi in vista della giornata mondiale dello “Zero Spreco” indetta dall’Onu, che si celebra ogni anno il 30 marzo. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno calcolato che oggi 783 milioni di persone in tutto il mondo vivono in condizioni di sottoalimentazione cronica, 150 milioni di bambini soffrono la fame e molti paesi, soprattutto in Africa, si trovano ad affrontare crisi alimentari sempre più gravi.
Oltre al protrarsi del conflitto russo-ucraino, nuove crisi come la guerra tra Israele e Hamas e la violenza ad Haiti stanno peggiorando la crisi a livello globale.
Gli autori della ricerca affermano che la carestia, già così grave in gran parte dell’Africa in seguito all’estendersi di condizioni di perdurante siccità, è imminente anche nel nord di Gaza e si va propagando ad Haiti.
Ebbene il mondo – dice il rapporto UNEP, che ha il compito di tracciare i progressi compiuti dai paesi entro il 2030 nel dimezzare gli sprechi alimentari – ha appunto sprecato nel 2022 a livello globale circa il 19% del cibo prodotto, ovvero circa 1,05 miliardi di tonnellate, equivalenti a 132 kg per persona e a un quinto di tutto il cibo disponibile ai consumatori. Il primo rapporto, nel 2021, in riferimento al 2019 stimava che lo spreco di cibo era stato del 17% a livello globale, ovvero 931 milioni di tonnellate (1,03 miliardi di tonnellate). La situazione pertanto non ha fatto che aggravarsi.
Il rapporto è stato redatto in collaborazione tra l’UNEP e lo Waste and Resources Action Program (WRAP), un ente inglese di beneficenza internazionale. I ricercatori hanno analizzato i dati nazionali su famiglie, servizi di ristorazione e rivenditori. Hanno scoperto che ogni persona spreca circa 79 chilogrammi di cibo all’anno, pari ad almeno 1 miliardo di pasti sprecati ogni giorno in tutto il mondo. La maggior parte dei rifiuti – il 60% – viene prodotto dalle famiglie; il 28% circa deriva dai servizi di ristorazione, dai ristoranti e dalle mense, mentre circa il 12% è prodotto dai rivenditori.
Lo spreco alimentare, peraltro, rappresenta anche una preoccupazione globale per i costi di produzione che implica, compresi la terra e l’acqua necessari per allevare colture e animali, e le emissioni di gas serra che produce, compreso il metano, un gas potente che – come noto – ha contribuito per circa il 30% al riscaldamento globale. Si calcola che le perdite e gli sprechi alimentari generino dall’8 al 10% delle emissioni globali di gas serra.
Un fenomeno che aggrava l’insicurezza alimentare
Fadila Jumare, una collaboratrice dell’UNEP di base in Nigeria, esperta del Busara Center for Behavioral Economics, ha studiato in particolare la possibilità di prevenzione dello spreco alimentare nel paese in cui vive e in Kenya. Secondo Jumare, il problema aggrava le condizioni di molte persone che già soffrono di insicurezza alimentare e non possono permettersi diete sane. «A livello globale – ha sostenuto l’esperta – lo spreco alimentare significa che meno cibo è disponibile per la popolazione più povera».
Brian Roe, ricercatore sullo spreco alimentare presso la Ohio State University, non direttamente coinvolto nel rapporto, ha commentato: «Dal documento si può concludere che l’impegno nel ridurre la quantità di cibo sprecato può portare a molti risultati desiderabili: conservazione delle risorse, minori danni ambientali, maggiore sicurezza alimentare e più terreni per usi diversi dalle discariche e dalla produzione alimentare».
Gli autori del report sostengono che dovrebbe spettare alle nazioni più ricche guidare la cooperazione internazionale e lo sviluppo di politiche per ridurre gli sprechi alimentari. Molti governi, gruppi regionali e industriali, in ogni caso, stanno utilizzando partenariati pubblico-privati per ridurre gli sprechi alimentari, mitigando lo stress climatico e idrico. Vari governi e amministrazioni locali collaborano con le imprese della filiera alimentare, assicurandosi che le aziende monitorino e quantifichino gli sprechi alimentari.
C’è speranza…
Il rapporto afferma infine che esiste oggi una positiva ridistribuzione alimentare – inclusa la donazione delle eccedenze alimentari alle banche alimentari e agli enti di beneficenza – e che questa tendenza rappresenta un passo significativo nella lotta allo spreco alimentare.
Un esempio virtuoso lo offre in Kenya il gruppo Food Banking Kenya, un’organizzazione no-profit che ottiene il cibo in eccedenza da fattorie, mercati, supermercati e centri di imballaggio e lo ridistribuisce agli scolari e alle popolazioni vulnerabili. Anche in questo paese, infatti, lo spreco alimentare costituisce una crescente preoccupazione, dato che secondo le stime ogni anno vengono sprecate circa 4,9 milioni di tonnellate di cibo.
John Gathungu, cofondatore e direttore esecutivo del gruppo ha dichiarato: «Abbiamo creato un impatto positivo sulla società, fornendo cibo nutriente, e abbiamo ottenuto anche un impatto positivo sull’ambiente riducendo le emissioni di gas nocivi».