Il ‘Monsieur Afrique’ pentito della françafrique
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La vasta rete di finanziamenti illeciti da parte di Capi di stato africani al presidente della repubblica Chirac e la torbida natura dei rapporti tra Sarkozy e Gbagbo al centro del libro di memorie di Robert Bourgi, per 30 anni consigliere politico della Francia in Africa
Il ‘Monsieur Afrique’ pentito della françafrique. O forse solo rancoroso
Le sue rivelazioni sono accolte con un misto di scetticismo e interesse storico a causa dei molti comportamenti dichiaratamente vendicativi tenuti da Bourgi negli anni
30 Settembre 2024
Articolo di Roberto Valussi
Tempo di lettura 5 minuti
Una stampa celebrativa al picco della 'françafrique', nel 1971, in omaggio all'amicizia franco-gabonese con i rispettivi Capi di stato: Omar Bongo e Georges Pompidou - Foto: Pixrl / Tommy Miles

Coscienza da lavare o menzogne di rappresaglia? Sono questi i due estremi interpretativi con cui si ricevono le rivelazioni di Robert Bourgi, ex-consulente politico, una vita passata al servizio di Parigi per tenere i rapporti con l’Africa.

A 79 anni, è fresco di pubblicazione di Ils savent que je sais tout – Ma vie en françafrique, (Loro sanno che io so tutto. La mia vita nella Françafrique”, il testo è solo disponibile in francese al momento). È una raccolta di memorie in cui rivela dettagli di dinamiche e discussioni avute con i piani più alti dello stato francese e di numerosi capi di stato africani tra gli anni 60 e i primi anni 2000. 

Bourgi vi rivela il meccanismo di finanziamento informale della classe politica francese da parte di vari capi di stato africani. Tra i passaggi più rilevanti, figura il meccanismo di raccolta fondi informali operata dall’ex-presidente della repubblica francese Jacques Chirac, con vari Capi di stato africani in veste di donatori. 

A France 24 ha dichiarato: «un giorno […] ho accompagnato l’ambasciatore del Gabon a Parigi da Chirac […] nell’ufficio di Dominique de Villepin [all’epoca Segretario generale dell’Eliseo, l’equivalente del Ministro degli esteri in Italia, ndr]. La porta comunicante si apriva, Chirac entrava. […] L’ambasciatore gli disse: ‘Signor Presidente, per la vostra azione politica, il presidente Bongo mi ha incaricato di consegnarvi questa valigetta».

La consegna sarebbe consistita in un’ampia somma di denaro in contanti, destinata al sostegno della nuova campagna elettorale di Chirac. 

Sempre nel suo libro quantifica che ogni donatore/presidente versava in ‘dono’ intorno al milione di dollari. Soldi che arrivavano non solo da Bongo, ma anche dai suoi omologhi, come Mobutu Sese Seko (ex Zaïre, poi divenuto Rd Congo), Blaise Compaoré (Burkina Faso) e  Denis Sassou Nguesso (Congo Brazzaville).

Sono temi e potenziali scandali che suoneranno come già sentiti per alcuni. Bourgi ne aveva infatti parlato, e abbondantemente, in una serie di dichiarazioni a mezzo stampa nel 2011. Se all’epoca le accuse contro Chirac e De Villepin non sfociarono in indagini giudiziarie fu soprattutto per la caduta in prescrizione degli eventuali reati di corruzione. 

Trattandosi del medesimo periodo, la nuova serie di scheletri nell’armadio è molto probabilmente destinata alla stessa fine. Bourgi sembra non curarsene. Per lui, l’obiettivo principale dei suoi scritti è «lavarsi la coscienza». Perché, come disse già nel 2011 ai microfoni di TV5 Monde, «voglio una Francia corretta, sia a sinistra che a destra.

Chi è Robert Bourgi

Nato a Dakar nel 1945, da commercianti libanesi sciiti, si trasferisce in Francia per gli studi universitari in giurisprudenza e scienze politiche. La sua naturalizzazione francese avviene negli anni ‘70.

Da giovane inizia a frequentare Jacques Foccart, il Monsieur Afrique per eccellenza, il consigliere politico dell’Eliseo (l’equivalente del nostro Ministero degli esteri) nonché primo architetto e manutentore della françafrique. Bourgi diventa il suo delfino e ne eredita il ruolo, seppure in modo informale.

Non ha cariche pubbliche definite e continua il suo lavoro come consulente per un numero sempre crescente di capi di stato africani. Col tempo, stringe amicizie di lungo corso con personalità dai colori politici più dispararati.

Da Omar Bongo (uno dei pilastri della politica francese in Africa e che lui chiamava ‘’papà’’) a Thomas Sankara (il simbolo della resistenza anti-francese) in Burkina, paese in cui è poi divenuto amico anche di Blaise Compaoré (colui che ha fatto uccidere Sankara e lo ha succeduto alla guida del paese). 

Aurea sulfurea 

Nel 2011, quando scatena il primo polverone mediatico, non tutti credono alle sue buone intenzioni, né tantomeno alla veridicità delle sue dichiarazioni. La reputazione di Bourgi in Francia è quantomeno controversa.

Già nel 2018, Marwane Ben Yahmed, allora editorialista e oggi direttore di Jeune Afrique, lo dipingeva come “un artista del tradimento” e di ‘’cecchino rancoroso’’. Lo considerava come una persona intenta ad inventarsi aneddoti infanganti nei confronti di chi smetteva di fare affari con lui, o tramite lui. 

Certo è che va fatta la tara ad ogni critica. Per molti, Jeune Afrique è tanto autorevole quanto un’espressione mediatica della françafrique, il che potrebbe spiegare la virulenza della posizione di Ben Yahmed. 

Ma dubbi e ombre aleggiano anche nel giudizio di altri colleghi giornalisti che sono di solito ben contenti di ospitare critiche al neocolonialismo francese in Africa.

Ne è un esempio Mondafrique, portale di informazione indipendente e progressista, in cui un recente articolo avanzava dubbi sulla solidità delle dichiarazioni di Bourgi, riguardo al tumultuoso periodo Gbagbo-Sarkozy intorno al 2010.

Il dito sul grilletto 

Bourgi ha dato motivo per dubitare della limpidezza del suo operato anche al di fuori del circolo degli africanisti. Una querelle lo ha visto protagonista in materia di politica interna francese. Nel 2017 infatti esplose una controversia riguardo a dei vestiti regalati all’allora candidato presidenziale di destra François Fillon.

Bourgi rivelò di avergli offerto costosi abiti su misura, per un valore di circa 13mila euro, in un noto negozio di lusso parigino. Stando alle sue dichiarazioni, era solito fare regali a diversi leader politici, inclusi Fillon.

L’accusa sollevò scalpore e danneggiò l’immagine di Fillon, che in quel periodo era già al centro di uno scandalo per l’impiego fittizio della moglie Penelope Fillon, noto come l’affaire Penelopegate.

All’inizio Fillon ammise di aver ricevuto i vestiti, senza dichiararli come un regalo. In seguito, il suo team sostenne che Fillon li avesse pagati.

uttavia, questa vicenda alimentò ulteriormente le critiche sull’uso di denaro e privilegi da parte dei politici francesi, specialmente durante una campagna elettorale in cui Fillon si presentava come un candidato a favore della sobrietà economica.

Questo scandalo, insieme alle altre accuse, contribuì a minare la sua credibilità e a far naufragare la sua campagna presidenziale​. Perché? Apparentemente per vendicarsi del fatto che Fillon lo volesse escludere dal suo gruppo di consiglieri africani.

Ragione valida per spingere Bourgi a «premere il grilletto», come disse lui stesso a proposito della sua decisione di contattare la stampa sulla vicenda del vestito. 

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