Nonostante l’intervento militare delle truppe del Rwanda e della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc), gli attacchi terroristici di matrice jihadista a Cabo Delgado, nord del Mozambico, non sono finiti. Nelle scorse settimane le incursioni si erano spostate verso l’altopiano dei Makonde, nei distretti di Mueda e Nangade, come in più occasioni raccontato nei mesi scorsi da Nigrizia.
Le ultimissime ore, invece, parlano di attacchi a sud della provincia di Cabo Delgado, a una quarantina di chilometri dalla capitale Pemba, che mai è stata toccata dalle azioni dei gruppi armati. A Ntutupue, nel distretto di Ancuabe, così come a Mazeze, nei pressi della cittadina di Chiure, alcuni cittadini sono stati decapitati dai terroristi e altri rapiti.
Al di là della ferocia, ormai consueta, degli attacchi, vi sono due circostanze di carattere strategico da considerare. In primo luogo, questioni di politica interna, che potrebbero avere indotto i gruppi ribelli a sfidare di nuovo il governo mozambicano. La settimana scorsa, infatti, il presidente Filipe Nyusi ha sostituito i vertici dell’intelligence locale (Sise), chiamando a dirigere il servizio di sicurezza Bernardo Lidimba, ex ambasciatore in Kenya e di etnia makonde, la stessa di Nyusi, e Jóia Haquirene, un quadro senior dell’istituzione, entrambi di comprovata lealtà verso l’attuale capo di stato.
La ragione ufficiale di questo azzeramento dei vertici del Sise è stata motivata da Nyusi col fatto che l’intelligence mozambicana non è mai stata in grado di prevenire le azioni dei terroristi a Cabo Delgado; il cambiamento, quindi, dovrebbe contribuire a ottenere informazioni in grado di aiutare nella lotta contro il terrorismo.
La risposta dei gruppi armati non si è fatta attendere: immediato spostamento a sud degli attacchi, effetto-sorpresa ottenuto e minaccia diretta nei confronti di Pemba. Risultato: imprese importanti, al di fuori del settore energetico, localizzate nel distretto di Balama, hanno anch’esse sospeso le loro attività. È il caso della Syrah Resources, e della Graphex, una controllata della Minerals Ltd, il cui sfruttamento di graffite è ormai fermo, a causa dell’instabilità e pericolosità dell’area.
Total guarda altrove
Il secondo aspetto strategico è indirettamente legato al gas di Afungi della Total. Da pochi giorni, infatti, la multinazionale francese ha vinto una gara (la prima società straniera a farlo) per lo sfruttamento di un enorme giacimento di gas in Qatar: investimento complessivo di 29 miliardi di dollari, maggiore rispetto a quello mozambicano, intorno ai 20 miliardi, e sforzi concentrati nel tranquillo territorio asiatico. Le malelingue contrarie al governo, in Mozambico, già cantano vittoria, sostenendo che il gas di Afungi non verrà mai estratto, almeno non dalla Total, che non ha mai ripreso le operazioni in seguito agli attacchi jihadisti, nonostante la relativa calma dell’area di Afungi, controllata dalle truppe rwandesi.
Forse adesso inizia ad apparire più chiaro il reale obiettivo degli attacchi terroristici iniziati più di quattro anni e mezzo fa a Cabo Delgado: bloccare l’economia mozambicana e salutare quegli investimenti esteri che così tante critiche hanno suscitato in parti significative della società civile locale. Con evidenti conseguenze anche di tipo politico.