Mozambico: uccisi due leader terroristi - Nigrizia
Conflitti e Terrorismo Mozambico
Offensiva dell’esercito nella provincia di Cabo Delgado
Mozambico: uccisi due leader terroristi
Riconquistata la base jihadista di Katupa, nel distretto di Macomia. Negli intensi combattimenti hanno perso la vita il capo dei terroristi mozambicani, Ibn Omar, e il suo vice Abu Kital
28 Agosto 2023
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
Joaquim Mangrasse, capo di stato maggiore delle forze armate mozambicane, annuncia la morte dei due vertici jihadisti (Credit: Zitamar News)

Dopo giorni di intensi combattimenti nella provincia settentrionale di Cabo Delgado, i due capi locali del terrorismo di matrice islamista che dall ottobre del 2017 sta insanguinando il nord del Mozambico sono stati uccisi.

Abu Kital, vicecomandante delle forze jihadiste in Mozambico, ha perso la vita in uno scontro con l’esercito mozambicano presso Katupa, nel distretto di Macomia.

Katupa era una base molto importante dei terroristi, che è stata riconquistata pochi giorni fa, non senza perdite significative anche dal lato delle truppe mozambicane.

Il 22 agosto scorso, invece, in un altro scontro presso la località di Quiteirajo, ancora nel distretto di Macomia, è stato il leader dei terroristi mozambicani, Ibn Omar, al secolo Bonomar Machude, a essere stato ucciso.

Lo ha annunciato Joaquim Mangrasse, capo di stato maggiore delle forze armate del Mozambico, a Pemba.

Ibn Omar, principale ricercato in Mozambico

Il “leone della foresta”, così era conosciuto Ibn Omar, era un giovane mozambicano originario di Palma.

Rimasto orfano di padre a 5 anni, fu il nuovo marito della madre a iniziarlo, a Mocimboa da Praia, dove nel frattempo la famiglia si era trasferita, all’islam.

Secondo le testimonianze dei docenti della scuola media Januário Pedro, il giovane era un tipo calmo, buon giocatore di calcio (denominato Patrick Vieira, in ricordo del calciatore francese le cui movenze e altezza Ibn Omar ricordava), e con eccellenti relazioni con tutti i colleghi.

Fu quando completò l’insegnamento superiore (in Mozambico dal decimo al dodicesimo anno di scuola), presso l’African Muslim, che iniziò a trasformarsi nel personaggio che poi è diventato.

Trasferitosi nella capitale provinciale, Pemba, dove svolse il servizio militare nella marina mozambicana, decise di restare in quella città, facendo il venditore ambulante al soldo di un commerciante straniero.

Dopo aver viaggiato in Tanzania e in Sudafrica, al suo ritorno Ibn Omar rivitalizzò una moschea locale, a Pemba, continuando a vendere chincaglierie importate dalla Tanzania.

Fu in questa fase che il suo processo di radicalizzazione si completò, assumendo la veste di un vero e proprio leader carismatico, e calpestando i principi dell’islam ufficiale, di cui divenne il principale nemico.

È stato presente sin dal primo attacco a Mocimboa da Praia, il 5 ottobre del 2017, ed era ritenuto il cervello delle operazioni sul terreno a Cabo Delgado.

Ebbe un ruolo decisivo nello spettacolare assalto alla città di Palma nel marzo del 2021, e ha sempre goduto di protezioni a tutti i livelli: dall’esercito – mantenendo rapporti amichevoli con diversi dei suoi membri – alle popolazioni locali e perfino ad alcuni capi locali dell’islam nel nord del paese, in rotta con l’islam “ricco” rappresentato dal Consiglio Islamico del Mozambico, in cui i musulmani di origine asiatica hanno da sempre dominato rispetto ai confratelli africani.

Il dipartimento di Stato americano lo aveva da tempo inserito nella lista dei terroristi globali, quindi era uno degli uomini più ricercati del pianeta.

La sua fine rappresenta un duro colpo per i gruppi terroristici del Mozambico, che proprio nelle ultime settimane avevano ripreso un’attività di un certo livello fra Macomia e Mocimboa da Praia.

Quali prospettive?

Come ha dichiarato lo stesso presidente della Repubblica, Filipe Nyusi, l’avere ucciso i due leader mozambicani del jihadismo locale non rappresenta la fine del terrorismo nel nord del paese.

Come più volte spiegato, il terrorismo in Mozambico, così come in diversi altri paesi africani, non è figlio di una iniziativa di un manipolo di individui, bensì di una situazione storica stratificata e solidificata che non potrà essere risolta per la via esclusivamente militare.

Le reti di complicità e solidarietà di cui Ibn Omar beneficiava non sono scomparse, la rivolta contro uno Stato visto come elitario e non inclusivo non cesserà adesso, l’odio etnico contro i minoritari makonde oggi al potere è assai radicato e, presumibilmente, continuerà, magari dopo una riorganizzazione delle truppe jihadiste di stanza in Mozambico.

Quel che è certo è che, dopo settimane di perdite e di terribili imboscate, almeno sul piano militare le truppe governative hanno fatto segnare, soprattutto con l’uccisione di Ibn Omar, un importante punto a loro favore.

Ciò rappresenta un sollievo anche da un punto di vista psicologico, in un momento molto complicato per il Mozambico, in cui il pagamento degli stessi stipendi di esercito e polizia sta facendo registrare ritardi anche di tre mesi, provocando giustificati mugugni e lamentele da parte di questi due fondamentali corpi.

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