Il Mozambico è immerso in una delle più significative crisi politiche dall’indipendenza e oscilla fra scenari diversi e anche estremi, mentre mancano meno di due settimane alla data annunciata per la proclamazione dei risultati del voto del 9 ottobre scorso. Nel paese prosegue la protesta della società civile contro la presunta frode elettorale del Frelimo al potere così come la repressione degli apparati di sicurezza. Per capire quanto la situazione sia complessa, basta guardare ai fatti salienti delle ultime settimane.
Fra i più rilevanti, un incontro online mancato fra il presidente in carica, Filipe Nyusi, e il candidato presidenziale di Podemos, Venâncio Mondlane. Incontri dall’esito indecifrabile fra la presidente del Consiglio costituzionale, Lúcia Ribeiro, e la delegazione del partito Podemos, in merito al confronto fra le schede elettorali in possesso delle due parti. Infine, Mondlane che annuncia per il 15 gennaio – giorno previsto per l’investitura presidenziale – di volere assumere lui la massima carica dello stato, quale legittimo vincitore delle elezioni del 9 ottobre scorso.
In mezzo a tutto ciò, la generosa mediazione alla ricerca della pace da parte del filosofo Severino Ngoenha e di altri intellettuali, che però non sta portando a un avvicinamento delle parti, anzi…
A questo si aggiungono voci crescenti sul presunto spostamento a Maputo di militari rwandesi di stanza a Cabo Delgado, la cui missione è finanziata in parte anche dall’Unione Europea. Sulla questione sono anche circolate diverse informazioni che si sono poi rivelate false. D’obbligo quindi, tutti i condizionali del caso.
Ricerca della pace o scarico di responsabilità?
Osservando ciò che accade in tutto il paese, la sensazione è che le due parti abbiano provato ad avvicinarsi qualche giorno fa, appunto in vista dell’incontro convocato da Nyusi coi quattro candidati presidenziali. Alla riunione Mondlane non ha voluto partecipare in presenza, temendo per la propria incolumità fisica, e proponendo un incontro online.
Nyusi non ha però recepito il suggerimento; da allora, il fragile clima di ricerca di un’intesa fra le parti si è come dissolto, evaporando fra accuse reciproche di violenze e vandalismo da parte dei governativi verso i sostenitori di Mondlane, e di uccisioni di innocenti a parti invertite, con l’immancabile intervento delle organizzazioni internazionali umanitarie, quali Amnesty International, e il silenzio di altri soggetti. Fra tutti, quello della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC) in primo luogo.
La ricerca della pace si è quindi trasformata in qualcosa d’altro: da una parte, Venâncio Mondlane continua a dirigere il traffico delle manifestazioni popolari e del boicottaggio economico con live su Facebook seguite da centinaia di migliaia di persone; dall’altra, le forze di polizia continuano a reprimere e uccidere i manifestanti e quanti si trovino, casualmente, nel posto sbagliato al momento sbagliato, fra cui anche bambini.
Niente sembra far pensare a un possibile accordo fra le due parti in causa, a meno di miracoli dell’ultima ora: il tempo a disposizione dei vari attori di questa vicenda sta infatti giungendo alla fine. Mancano pochi giorni prima che il Consiglio costituzionale emetta la propria sentenza (definitiva) in merito all’esito delle elezioni del 9 ottobre, fissata per il 23 dicembre prossimo.
Così, la previsione dei più è che Daniel Chapo, candidato del Frelimo, venga dichiarato nuovo presidente del Mozambico, magari diminuendo l’improbabile percentuale del 70% attribuitagli finora dalla Commissione nazionale per le elezioni (CNE), ma comunque garantendogli la vittoria al primo turno. Altri ritengono che l’unica soluzione possibile sia l’annullamento delle elezioni, come sostenuto da settimane dal leader della Renamo, Ossufo Momade.
Ma questa prospettiva non sembra trovare l’accordo, oltre che del Frelimo, dello stesso Mondlane. Scenario che fa presupporre che, il 15 gennaio, potranno esserci due presidenti in Mozambico: quello “ufficiale”, Chapo, e quello “del popolo”, Venâncio Mondlane, che si trova ancora fuori dal Mozambico. L’ipotesi di un secondo turno fra i due candidati più votati non viene presa, al momento, in considerazione, ma potrebbe rappresentare una mediazione possibile almeno per non far precipitare la situazione nell’immediato. I
l tutto, però, non ha niente a che vedere con la trasparenza elettorale: ormai, le varie ipotesi sul tavolo puntano verso una soluzione possibile mediante un negoziato fra le varie parti, a prescindere dal conteggio corretti dei voti. Ci si dimentica, quindi, che ciò che il popolo nelle piazze sta reclamando in questi giorni è proprio la giustizia elettorale.
Affilando le armi
Di fronte al vuoto negoziale, le due parti stanno affilando le armi: sia quelle della propaganda che quelle vere e proprie. Demonizzare l’avversario, anche con una quantità industriale di fake news, sta diventando lo sport nazionale, in questi ultimi giorni, in Mozambico: avere il consenso popolare è importante, in vista dello scontro. Ma, al momento, questa battaglia la sta vincendo Mondlane, che si ritrova senza avversari in tale, specifico terreno di gioco.
Il governo, allora, ha assunto varie iniziative, nelle scorse ore, per cercare di dimostrare tutta la sua disponibilità nel cercare di risolvere la situazione: contatti coi candidati delle opposizioni (escluso però Mondlane), incontri di Lúcia Ribeiro coi rappresentanti dei vari partiti al fine di chiarire – questa, per lo meno, è la versione ufficiale – l’entità dei brogli e come uscirne, infine una riunione del Consiglio di stato che ha richiesto al presidente della Repubblica uscente – dopo dieci anni di mandato – di creare le condizioni per “spartitarizzare” i processi elettorali, rendendoli maggiormente trasparenti…
Tutte mosse in apparenza distensive, ma tardive e dalla sostanza nulla. Al contrario, queste azioni fanno pensare a tattiche per tastare il terreno in vista dell’annuncio della presidenza Chapo da parte del Consiglio costituzionale. Un annuncio che, se fatto, potrebbe decretare ufficialmente l’inizio di un nuovo conflitto civile, fatto città per città e casa per casa, differente sia da quello dei 16 anni con la Renamo che dagli attacchi jihadisti nel nord del paese.
Forse di fronte a questo apocalittico scenario, anche un’Unione Europea in difficoltà, e fino a oggi incapace di fungere da soggetto mediatore di una crisi a più riprese annunciata, dovrà fare i conti con un paese in rapido e acuto sgretolamento e andare quindi oltre le dichiarazioni di condanna per le violenze perpetrate da parte della polizia e dell’esercito. In fondo, per proteggere i forti interessi europei, italiani e francesi in particolare, c’è bisogno di una situazione per lo meno di assenza di conflitto armato che, invece, in questo momento, sembra costituire lo scenario più probabile in Mozambico.