L’annus horribilis del Mozambico si è chiuso con un’ennesima pessima notizia. Col conflitto a Cabo Delgado che continua a mietere vittime e incertezze a ogni livello, col presidente Filipe Nyusi che ha appena annunciato il mancato pagamento delle tredicesime per i dipendenti statali (fatto inedito nella storia del paese) e con un prolungato sciopero dei medici e di altre categorie del pubblico impiego, anche il processo di disarmo, smobilitazione e reintegro (Ddr) dei soldati dell’esercito della Renamo (Resistenza nazionale del Mozambico) segna il passo.
Si tratta di un percorso di lunghissima durata, cominciato subito dopo la firma degli accordi generali di pace del 1992 a Roma fra governo e Renamo, e che avrebbe dovuto concludersi proprio in questi giorni.
Le dinamiche politiche interne hanno prolungato di circa vent’anni la conclusione del Ddr. Ciò ha consentito alla Renamo di disporre di un proprio esercito, servito sia per ricattare il Frelimo (partito che da sempre governa il Mozambico) su vari fronti caldi, innanzitutto sulla trasparenza dei processi elettorali, che per usarlo alla bisogna, com’è avvenuto fra il 2013 e il 2019, quando un nuovo conflitto si è scatenato nel centro del paese.
La firma definitiva degli accordi di pace nell’agosto del 2019 fra il presidente Nyusi e il presidente della Renamo, Ossufo Momade, sembrava aver dischiuso le porte per una tranquilla e pacifica transizione. Nonostante i proclami del delegato delle Nazioni Unite, l’ex-ambasciatore svizzero Mirko Manzoni, incaricato di curare questo delicato passaggio, lo scenario è di altro tipo.
L’ultima e più importante base militare dell’esercito della Renamo, ubicata nella Serra di Gorongosa, provincia di Sofala, con un contingente di 350 effettivi, non è stata chiusa, a causa di diverse situazioni rimaste ancora in sospeso.
Situazioni che avevano indotto un manipolo di resistenti, comandati da Mariano Nhongo (ucciso a ottobre del 2021) a non accettare i termini dell’accordo, imboscandosi in un disperato tentativo di riprendere la lotta armata contro il governo, e in rotta di collisione con la stessa leadership della Renamo.
Tali problemi, in realtà, mai sono stati affrontati seriamente da parte dei vari attori, nazionali e internazionali.
Per la prima volta, la settimana scorsa, il sempre moderato Momade aveva espresso lamentele rispetto a come il Ddr stava concludendosi: in primo luogo, i dieci ufficiali del vecchio esercito della Renamo, che avrebbero dovuto essere integrati nella polizia nazionale (Prm) con ruoli di rilievo, sono ancora in attesa delle rispettive nomine da parte del comandante generale di quella corporazione, Bernardino Rafael, uomo di fiducia del presidente Nyusi.
In secondo luogo, l’ammontare delle pensioni per i combattenti della Renamo a cui era stato riconosciuto questo diritto non sarebbero state ancora fissate; infine, dei 4.001 ex-militari della Renamo soltanto 46 sono stati integrati nella Prm.
Nessuno, ormai, pensa che la situazione sia reversibile: il Ddr è giunto quasi alla fine e anche l’ultima base della Renamo sarà smantellata; tuttavia sia le ragioni politiche che le eventuali ripercussioni di questo ritardo potrebbero essere significative, nel complicato scacchiere mozambicano.
I motivi dell’improvviso irrigidimento di Momade devono essere ricercati in due elementi: nelle oggettive ragioni di chi doveva essere smilitarizzato con precise garanzie economiche, puntualmente non rispettate, e nelle pressioni interne che il presidente sta ricevendo dalle varie anime del suo partito.
La sua leadership, infatti, non è per niente salda, e ulteriori cedimenti rispetto alle esigenze del governo potrebbero far precipitare una situazione che già lo vede oggetto di molte critiche da parte dei suoi oppositori.
Dal lato governativo esistono due motivi che hanno indotto al mancato rispetto di impegni già sottoscritti: da una parte, la reticenza nel permettere l’entrata di ufficiali della Renamo in posti chiave di esercito e, adesso, di polizia, due settori da sempre considerati come monopolio del Frelimo; e dall’altra – soprattutto per la questione dei pensionati – una situazione economico-finanziaria dell’erario pubblico sull’orlo del default, con oggettive difficoltà nel reperire risorse aggiuntive a valere su un già risicato bilancio.
Per Nyusi, la mancata chiusura del Ddr rappresenta un ennesimo ostacolo verso la sua riconferma. Il terzo mandato (non previsto dalla Costituzione) rappresenta l’obiettivo dell’attuale presidente: un passaggio molto stretto, che nessuno dei suoi predecessori ha avuto la forza di imporre al partito e al paese.
I problemi suscitati dall’ultima fase del Ddr stanno già contribuendo a indebolire ulteriormente Nyusi e il suo sistema di potere, caratterizzato dal privilegiare l’etnia minoritaria dei Makonde. Un sistema che sembra destinato a dissolversi, con le elezioni presidenziali del 2024.