Mozambico: ucciso il leader dell’ala militare della Renamo - Nigrizia
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Mariano Nhongo è morto in uno scontro a fuoco con l’esercito
Mozambico: ucciso il leader dell’ala militare della Renamo
Dopo aver rifiutato gli accordi di pace con il Frelimo, nel 2019, era tornato alla guerriglia armata. La sua morte è l’estrema testimonianza di un conflitto, figlio della guerra fredda, che resta tutt’ora aperto
13 Ottobre 2021
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
Mariano Nhongo

Era il 1 agosto del 2019 quando il presidente della repubblica del Mozambico, Filipe Nyusi, e il presidente del maggior partito di opposizione, la Renamo, Ossufo Momade, firmarono, presso la Serra di Gorongosa, provincia di Sofala, l’accordo di cessazione delle ostilità che avrebbe dovuto portare alla pacificazione definitiva del paese, almeno nella zona centrale.

Un processo che durava da anni ma che non si era ancora concretizzato, nonostante i vari accordi firmati prima da Armando Guebuza e Alfonso Dhlakama, sin dal 2014, poi rafforzati dalle varie dichiarazioni di sospensione unilaterale del conflitto da parte dell’ex-leader della Renamo, scomparso il 3 maggio del 2018.

Anche la firma apposta da Nyusi e Ossufo Momade, però, non aveva dato l’esito sperato. Momade, che era succeduto a Dhlakama dopo la morte di quest’ultimo e un congresso molto complicato, era stato ben presto accusato dall’ala più radicale del suo partito di essersi venduto al Frelimo e al governo, senza dare garanzie concrete a nessuno dei militari che per più di vent’anni avevano sacrificato le loro vite e quelle delle rispettive famiglie per la causa della Renamo, vivendo nel bush della Serra di Gorongosa, a fianco di Dhlakama.

Il processo di Ddr (Disarmo, smobilitazione e reinserimento sociale) andava infatti a rilento, i fuoriusciti della Renamo spesso erano perseguitati da parte della polizia mozambicana e le alte patenti militari del partito stavano assumendo ruoli del tutto marginali nell’esercito nazionale unico, o erano addirittura spinti verso un pensionamento precoce.

È stato a questo punto che un gruppo non troppo consistente ma agguerrito di fedelissimi di Dhlakama, guidati da Mariano Nhongo, ha deciso di non riconoscere gli accordi del 1 agosto, fare una scissione del partito Renamo, impugnare le armi e intraprendere un nuovo conflitto.

Un conflitto anacronistico che, va detto subito, non aveva alcuna speranza non soltanto di vittoria, ma anche di influenzare decisioni già prese, a cui Nhongo ha voluto opporsi in modo tanto caparbio quanto coerente. Una volta costituita la Giunta militare autonoma della Renamo, da lui capeggiata, Nhongo ha rifiutando qualsiasi tentativo di mediazione non soltanto da parte del governo di Maputo, ma anche dell’ex-ambasciatore svizzero Mirko Manzoni, in questa fase rappresentante delle Nazioni Unite come mediatore del conflitto.

Obiettivo di Nhongo era riaprire tutto il tavolo delle trattative col governo, ignorando l’accordo sottoscritto da Nyusi e Momade, poiché il leader scissionista non riconosceva quest’ultimo come leader legittimo della Renamo.

La tattica per ottenere un simile risultato è stata quella di attacchi, peraltro sporadici, contro civili e alcuni militari nel centro del paese, nella zona fra Manica, Tete e Sofala, in una fase storica di crisi enorme, forse definitiva della Renamo, e soprattutto in cui un conflitto di ben più gravi proporzioni stava scoppiando nel Nord del paese, a Cabo Delgado, impegnando tutte le forze militari mozambicane e, ultimamente, quelle del Rwanda e della Sadc, la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale.

L’11 ottobre, alle 7.30, presso il distretto di Chiringoma, provincia di Sofala, Nhongo è stato ucciso insieme al suo braccio destro, Ngau Kama, dopo uno scontro armato con membri dell’esercito mozambicano. 

La sua eliminazione è un insuccesso in tutti i sensi: in primo luogo perché un’ennesima pagina storica del Mozambico si chiude con altre due morti; in secondo luogo perché la via pacifica e diplomatica per raggiungere pace e stabilità nel centro del paese è, ancora una volta, fallita; e in terzo luogo perché le ragioni che avevano spinto Nhongo e il manipolo di suoi fedeli a una scelta tanto radicale rimangono tutte intatte: che fine faranno, adesso, questi uomini? Saranno reintegrati, oppure anche loro verranno perseguitati ed eliminati da parte dell’esercito, magari con l’aiuto dell’onnipresente truppa del Rwanda?

Sono questi gli interrogativi che rimangono anche dopo la morte di Mariano Nhongo: che, probabilmente, ha raggiunto il vero obiettivo che si era prefissato: morire da eroe, in combattimento, lasciando una ultima, estrema testimonianza di un conflitto, quello fra governo mozambicano e Renamo, figlio della guerra fredda, ma che mai si è chiuso definitivamente.

Ecco, forse la morte di Nhongo potrà rappresentare proprio questo: la fine del conflitto dei 29 anni, ossia di quella fase incerta e a volte di aperta guerra che si è aperta con la firma degli Accordi generali di pace a Roma nel 1992, e si chiude probabilmente l’11 ottobre del 2021 con l’estremo sacrificio dell’ultimo baluardo di questa resistenza a un modello di paese che a molti non piace, ma che non sembra poter trovare uno sbocco alternativo pacifico accettabile.

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