Cabo Delgado rischia di diventare l’epicentro di un «sistema di violenza cronica» se le autorità del Mozambico e gli abitanti del paese continueranno a normalizzare la presenza dei gruppi armati e a sottovalutare la violenza inflitta alle popolazioni locali. Il monito è di monsignor António Juliasse Ferreira Sandramo, vescovo di Pemba, il capoluogo della provincia mozambicana, la più settentrionale del paese.
Il religioso ha esortato a «continuare a combattere» contro il terrorismo, non limitandosi alla «via delle armi, che pure può essere necessaria», ma pure battendo «le strade del dialogo».
Cabo Delgado, ricca di gas naturale e sede di diversi progetti di sviluppo di giacimenti di multinazionali, è da almeno sette anni teatro delle attività di milizie armate che si dichiarano affiliate allo Stato Islamico e che sono note localmente come Al-Shabaab, al pari dell’organizzazione terroristica somala con cui però non avrebbero alcun legame. Da quasi quattro anni le forze armate mozambicane, sostenute dal luglio 2021 dalle truppe ruandesi e da un contingente della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), conducono un’operazione che ha riportato sotto il controllo dello stato buona parte della regione.
Si continuano però a registrare violenze, vittime fra la popolazione e i militari e sfollamenti di civili. Le parole di monsignor Juliasse giungono pochi giorni dopo la morte di almeno 14 militari dell’esercito mozambicano e della SADC in due distinti attacchi avvenuti nell’ultima settimana del 2023 in due villaggi nel distretto di Macomia, come riportato dall’agenzia locale Zitamar e rilanciato dai maggiori media del paese. Gli attacchi sarebbero stati rivendicati dallo Stato islamico. Stando a un report dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), queste ultime violenze hanno costretto oltre 400 persone a lasciare le loro case.
Fatti che stridono con lo scenario rilanciato da settimane dalle autorità di Maputo. Di recente il generale maggiore delle forze armate Tiago Alberto Nampele ha affermato che «il 90%» del territorio della regione è tornato nelle mani del governo mentre il governatore della provincia, Valige Tauabo, ha evidenziato come la situazione sia tornata «stabile in termine di sicurezza». Come esplicitamente dichiarato da Nampele, ribadire il ritorno alla normalità di Cabo Delgado vuole essere anche uno sprone affinchè le multinazionali dell’energia che operano nella regione possano tornare a lavorare dopo aver interrotto le loro attività a fronte del deterioramento delle condizioni di sicurezza. Su tutte la società francese Total, che ad aprile 2021 ha bloccato i suoi progetti di sviluppo di uno dei più grandi giacimenti di gas naturale al mondo.
La denuncia del vescovo
Il contrasto fra quanto affermato a più riprese dal governo e la realtà sul campo spiega le parole di monsignor Juliasse, 56 anni, nominato vescovo di Pemba da Papa Francesco nel marzo 2022. «C’è un certo tipo di discorso crescente che può portare ad un atteggiamento di compiacenza da parte nostra quando si dice che la situazione a Cabo Delgado è sotto controllo o la controlleremo», ha scandito l’alto prelato, rilanciato dal quotidiano O Paìs. «Questo tipo di discorso non ci mobilita per cercare nuovi modi per superare le difficoltà. Al contrario, può portarci a sentirci a nostro agio e a cominciare a convivere con questa situazione». Pur non citando espressamente il governo, il riferimento sembra evidente, come evidenziato anche da O Paìs.
Il monsignore ha dedicato parte della sua riflessione agli sfollati, che a detta del religioso tornano nelle loro case nonostante il persistere di situazioni pericolose e critiche, non potendo fare altrimenti. Secondo i dati dell’OIM il conflitto nel nord del Mozambico ha prodotto circa un milione di sfollati, di cui 540mila sono già tornati nei loro luoghi d’origine.
Non da ultimo, il vescovo di Pemba ha ricordato la tragicità della morte di qualsiasi mozambicano, compresi i miliziani «che pure sono esseri umani e mozambicani». Nel suo discorso, seppur duro, il presule ha fatto appello anche a provare «la strada del dialogo» con gli esponenti dei gruppi armati. Una necessità questa, già evidenziata a fine novembre dal presidente del Consiglio islamico del Mozambico (Cislamo), Sheikh Aminuddin Muhammad, che ha annunciato la creazione di una commissione che da questo mese dovrebbe iniziare a lavorare per un dialogo con i miliziani, anche con il sostegno di attori regionali e dell’Unione Europea.
Non è la prima volta che monsignor Juliasse prende la parola per richiamare l’attenzione sulle criticità della situazione della provincia dove opera. Il religioso è succeduto a sua volta al presule brasiliano Luiz Fernando Lisboa, missionario passionario nominato vescovo di Pemba nel 2009 e noto per le sue denunce contro l’inerzia dello stato nel conflitto di Cabo Delgado e le violenze delle forze armate regolari. Il religioso, che ora è a capo della diocesi di Cachoeiro de Itapemirim, nel sud-est del Brasile, ha anche denunciato minacce di morte da parte del governo del presidente Filipe Nyusi.
A Cabo Delgado in sei anni di ostilità, secondo il monitoraggio dell’osservatorio Cabo Ligado, sono morte oltre 4mila persone fra civili e belligeranti.