MSF denuncia l’inferno dei centri di detenzione in Libia - Nigrizia
Libia Migrazioni Pace e Diritti Salute Unione Europea
La responsabile di Medici senza Frontiere nel paese: «Siamo inorriditi da ciò che abbiamo visto»
MSF denuncia l’inferno dei centri di detenzione in Libia
L’organizzazione umanitaria racconta i quotidiani trattamenti crudeli, degradanti e disumani cui sono sottoposte le persone migranti nei centri di Abu Salim e Ain Zara a Tripoli. Una situazione che, denuncia, «dipende in gran parte dalle deleterie politiche migratorie dell'Europa»
07 Dicembre 2023
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 3 minuti
Rifugiati e migranti stipati nel centro di Ain Zara a Tripoli (Credit: Global Detention Project)

L’organizzazione Medici senza Frontiere (MSF) ha pubblicato il 6 dicembre un rapporto sulle disumane condizioni di migliaia di persone detenute nei centri di raccolta di Tripoli in Libia.

Rifugiati, richiedenti asilo e migranti vengono aggrediti, abusati sessualmente, picchiati, uccisi e sistematicamente privati ​​delle condizioni umane più basilari, compresi l’accesso al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e alle cure mediche, afferma l’organizzazione.

«Continuiamo a essere inorriditi da ciò che abbiamo visto nei centri di detenzione di Abu Salim e Ain Zara. Le persone sono completamente disumanizzate, esposte ogni giorno a condizioni e trattamenti crudeli e degradanti», ha dichiarato Federica Franco, capo missione di MSF in Libia.

Che specifica: «Nel centro di Ain Zara, gli uomini detenuti hanno riferito al nostro staff di pratiche di lavoro forzato, estorsione e altre violazioni dei diritti umani, inclusa la morte di almeno cinque persone a causa della violenza o della mancanza di accesso a cure mediche salvavita».

«Sono stati documentati – prosegue – 71 incidenti violenti avvenuti tra gennaio e luglio 2023, alla conclusione delle nostre attività mediche a Tripoli in agosto, con medici che hanno trattato lesioni tra cui fratture ossee, ferite su braccia e gambe, occhi neri e problemi alla vista.

Centinaia di persone – aggiunge il rapporto – sono stipate in celle così sovraffollate da essere costrette a dormire in posizione seduta, con fuoriuscite di liquami da fosse settiche traboccanti e servizi igienici intasati.

Il cibo non basta e c’è troppo poca acqua per bere o lavarsi. Questo, unito alle terribili condizioni, ha contribuito alla diffusione di malattie infettive come la diarrea acquosa acuta, la scabbia e la varicella.

Quanto al centro di detenzione di Abu Salim, dove sono detenuti solo donne e bambini, le donne hanno raccontato di come sono state sottoposte a perquisizioni corporali, perquisizioni intime, percosse, aggressioni sessuali e stupri.

Beni di prima necessità come vestiti, materassi, kit igienici, coperte, pannolini e latte artificiale sono stati distribuiti solo irregolarmente e, secondo quanto riferito, sono stati regolarmente confiscati.  Molti abusi sono stati perpetrati dalle guardie ma anche da uomini, spesso armati, portati dall’esterno del centro di detenzione.

«Purtroppo – fa sapere la responsabile di MSF – abbiamo perso completamente l’accesso al centro di detenzione di Ain Zara all’inizio di luglio e al centro di detenzione di Abu Salim nell’agosto 2023. Pertanto siamo giunti alla decisione di porre fine alle attività a Tripoli».

«Dopo sette anni di assistenza medica e umanitaria, la situazione spaventosa a cui abbiamo assistito abbiamo dedotto che dipenda in gran parte dalle deleterie politiche migratorie dell’Europa, volte a impedire a tutti i costi alle persone di lasciare la Libia e a rimpatriarle con la forza in un paese per loro non sicuro».

Concludendo, il rapporto chiede la fine della detenzione arbitraria in Libia e chiede che tutti i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti siano rilasciati dai centri di detenzione e ricevano protezione significativa, riparo sicuro e percorsi sicuri e legali fuori dalla Libia.

MSF comunque continua a lavorare in Libia, attualmente nelle regioni di Misurata, Zuwara e Derna.

Copyright © Nigrizia - Per la riproduzione integrale o parziale di questo articolo contattare previamente la redazione: redazione@nigrizia.it