Con fierezza si definisce un’attivista prima che un’artista. E il Mudec (il Museo delle Culture di Milano), interpretando fedelmente il suo pensiero, titola Muholi A Visual Activist la mostra che fino al 31 luglio dedica a lei, Zanele Muholi, una delle voci mondiali più importanti della comunità LGBTQIA+ (la sigla utilizzata per identificare lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali, asessuali e chiunque non si definisca eterosessuale, ndr).
Muholi – da qualche mese ha deciso di mantenere solo il cognome e di definirsi al plurale rifiutando la distinzione di genere lui/lei – è nata a Umlazi, un quartiere di Durban (Sudafrica), nel 1972 e da ragazza ha dovuto confrontarsi non solo con le dure regole dell’apartheid, ma anche con la discriminazione e le ulteriori violenze riservate a chi ha un diverso orientamento sessuale.
L’opera dell’artista sudafricana viene presentata per la prima volta in un museo italiano: 60 foto in bianco e nero, potenti autoritratti che fanno parte del progetto artistico Somnyama Ngonyama (in lingua zulu significa “Ave Leonessa nera”) sono esposte al Mudec, per iniziativa del Comune di Milano e 24 ORE Cultura
«Le foto documentano l’orgoglio di esistere di Muholi che nel 2012, dopo aver subito il furto intimidatorio di tutti i suoi file non pubblicati, durante una residenza in Umbria decide di girare l’obiettivo verso sé stessa, decidendo di esporsi in prima persona». Ricorda così la genesi del progetto, tuttora in progress, la curatrice Biba Giacchetti che insieme all’artista ha scelto gli scatti da esporre e curato l’allestimento di una installazione esclusiva, un letto che sul lenzuolo riporta l’abbraccio fra Muholi e la compagna scomparsa.
«Una mostra importante per la città», l’ha definita Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura «perché c’è molto bisogno di attenzione e vigilanza su questi temi, a Milano e in tutta Italia».
Con molto coraggio Muholi mette a nudo il proprio corpo usando la macchina fotografica come strumento per testimoniare la lotta contro gli stereotipi di genere e per affermare la bellezza e la potenza della blackness.
«Con il mio lavoro voglio creare consapevolezza e aiutare quanti nella comunità LGBTQIA+ hanno interiorizzato stereotipi e traumi a causa di ciò che è stato loro detto o non detto durante la loro infanzia e adolescenza» spiega l’artista. Nei suoi autoritratti si mette in scena usando oggetti della vita quotidiana che, indossati sul suo corpo, creano potenti immagini metaforiche.
Nella suggestiva foto della locandina della mostra, Muholi ha il collo stretto da due cuscini da viaggio sovrapposti, come una minaccia di soffocamento da parte di un serpente a evocare il senso di costrizione e oppressione. Xiniwe, recita la didascalia: in lingua zulu stretto/costretto.