Prendiamo atto che Uganda e Rwanda hanno riaperto ieri le loro frontiere terrestri che erano state sigillate, a muso duro, tre anni fa: ma non esageriamo con i verbi perché le frontiere in quell’area dei Grandi Laghi di norma non sono proprio invalicabili.
E soprattutto non confondiamo questa normalizzazione delle relazioni commerciali con un effettivo riavvicinamento politico. I due paesi, e i presidenti che li comandano, sono in competizione per l’egemonia regionale e per il controllo delle risorse, soprattutto quelle che si trovano nelle province del nordest della Repubblica democratica del Congo (Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu).
Era stato il Rwanda dell’ineffabile Paul Kagame – il leader tutsi che governa con pugno di ferro dal 1994, anno del genocidio, e che proprio facendosi scudo con il genocidio (500mila morti in gran parte tutsi e hutu moderati) nega ogni agibilità a voci politiche dissenzienti – a chiudere i confini con il vicino.
L’accusa a Yoweri Museveni, padrone della scena politica ugandese da oltre 35 anni, era di sostenere gruppi armati che cercavano di rovesciare il regime rwandese e anche di perseguitare cittadini rwandesi che vivevano in Uganda. Di rimando, Museveni aveva accusato il Rwanda di spionaggio.
Non erano e non sono toni da buon vicinato. Semplicemente è stato valutato che non valesse più la pena mostrare i muscoli. E allora ecco che il 22 gennaio scorso, il figlio di Museveni, il generale Muhoozi Kainerugabada, si è recato a Kigali, ha incontrato Kagame e dopo «una discussone cordiale e produttiva» hanno deciso di «ristabilire le relazioni».
E qualche giorno dopo Museveni ha lanciato un segnale inequivocabile: ha rimosso/promosso Abel Kandiho, capo dei servizi segreti militari, che secondo Kigali collaborava con dissidenti rwandesi impegnati a individuare e colpire immigrati rwandesi in Uganda.
Per Kampala il vantaggio immediato della riapertura delle frontiere è la ripresa delle esportazioni che nel 2018 davano questi numeri, secondo la Banca mondiale. Dall’Uganda al Rwanda: 211 milioni di dollari, soprattutto derrate alimentari e cemento; dal Rwanda all’Uganda: 13 milioni di dollari.
La mossa di Museveni
Ma non mancheranno le occasioni perché si riaccendano consolidate rivalità. Ricordiamo che Museveni e Kagame sono stati la punta di lancia della seconda guerra nella Repubblica democratica del Congo (1998-2003). Guerra che persero, ma che scoppiò perché i due capi di stato aiutarono Laurent-Désiré Kabila a metter fine al regime di Mobutu e quando furono invitati a lasciare il paese si rivoltarono. Rivelando così le loro intenzioni: appropriarsi di una parte del territorio congolese.
E anche nel contesto di quel conflitto Museveni e Kagame non hanno mai fatto gioco di squadra. Basti dire che nel giugno 2000 gli eserciti rwandese e ugandese si scontrarono per sei giorni nei pressi della città mineraria di Kisangani.
Guardando all’oggi, c’è una recente mossa di Museveni che certamente ha messo in allarme Kagame. Dal 30 novembre del 2021, l’esercito ugandese sta compiendo delle azioni militari in accordo con le forze armate congolesi nella Repubblica democratica del Congo. L’intento è di combattere un gruppo armato – le Forze democratiche alleate (Adf) – che sono indicate dall’Uganda come le responsabili di due attentati che hanno colpito Kampala lo scorso 16 di novembre.
Museveni ha bussato e il presidente congolese Félix Thisekedi ha aperto la porta, non senza sollevare polemiche da parte dell’opposizione e della società civile che non capiscono perché l’Uganda, visti i trascorsi, debba essere considerata un partner affidabile. Tshisekedi però guarda già alle elezioni presidenziali del 2023 e, se vuol essere riconfermato, deve dimostrare di aver fatto qualcosa per garantire la sicurezza del nordest del paese.
Dai primi di maggio è in vigore la legge marziale nell’Ituri e nel Nord Kivu, significa che i militari hanno pieni poteri. Ma finora grandi risultati non si sono visti e i gruppi armati tengono la scena. Per questo Tshisekedi si sta fidando di Museveni.
Ora questo dispiegamento di truppe ugandesi in territorio congolese mette in discussione il controllo di Kigali su un’area cuscinetto che fin dall’inizio del regime di Kagame è stata utilizzata quale serbatoio di risorse minerarie da prelevare a piacimento. Un’area torbida dove i confini tra un gruppo armato e l’altro non sono ben delineati, un’area che è più facile controllare mantenendola instabile…
L’apertura delle frontiere tra Uganda e Rwanda non apre una nuova stagione. Prendiamone atto.