Come previsto, Yoweri Museveni ha vinto le elezioni per la sesta volta. Per raggiungere questo obiettivo ha ottenuto ben due modifiche della Costituzione dal parlamento ugandese, in cui il suo partito, il Movimento di resistenza nazionale (National Resistance Movement, NRM), ha sempre avuto la maggioranza da quando lui è al potere. La prima ha tolto la limitazione nel numero dei mandati presidenziali, la seconda quella dell’età, che impediva l’elezione alla carica di presidente dopo i 75 anni.
Museveni, che di anni ne ha 76 essendo nato nel 1944, è presidente dell’Uganda dal 29 gennaio 1986 dopo aver partecipato attivamente alle lotte per liberare il paese da due dittatori, Idi Amin nel 1979 e Milton Obote nel 1985. Rimarrà dunque in carica fino al 2026, quando di anni ne avrà compiuti 81. Sarà perciò al potere per ben quarant’anni e questo lo collocherà tra i leader africani più longevi.
Intanto nel paese e oltreconfine crescono le voci che stia preparando una successione familiare. Il Daily Nation, il giornale più diffuso in Kenya, domenica 17 gennaio nel paginone di commento alle elezioni ugandesi titola: Voci credibili che il presidente stia preparando il figlio per sostituirlo nella leadership. Niente di troppo sorprendente, per la verità. Nella zona è già successo nella Repubblica democratica del Congo, quando Joseph Kabila è succeduto a suo padre, Laurent-Désiré Kabila, assassinato.
Insomma, la storia politica di Museveni è quella, purtroppo piuttosto comune in Africa, di un combattente della libertà, trasformatosi in autocrate.
Museveni è stato proclamato vincitore con il 58,6% dei voti, pari a 5.851.037 preferenze, dopo una campagna elettorale caratterizzata da gravissimi abusi, tra cui minacce agli oppositori più volte arrestati (erano una decina i candidati alla presidenza), attacchi ai giornalisti e ai mezzi d’informazione, il silenziamento dei social media e la morte di almeno 54 persone durante le violente cariche delle forze di sicurezza per impedire i comizi dei contendenti di opposizione.
Le cariche sono state spacciate come necessarie per evitare affollamenti. Secondo le denunce dell’opposizione, infatti, anche le misure per il contenimento della pandemia di Covid 19 – circa 39.000 contagi e più di 300 morti nel paese finora – sono in realtà state utilizzate per impedire un regolare svolgimento della campagna elettorale.
Il maggior e più noto candidato di opposizione, il musicista e parlamentare Robert Kyagulanyi, meglio conosciuto con il nome d’arte di Bobi Wine, ha ricevuto 3.475.298 voti, pari al 34,83% dei votanti, ma ha contestato il risultato ancor prima della fine dello spoglio, denunciando diffusi brogli.
Il presidente della commissione elettorale gli ha pubblicamente risposto che stava all’accusatore dimostrarlo, lavandosi le mani dalla responsabilità di garantire del corretto svolgimento del voto come la sua posizione avrebbe imposto.
Sabato pomeriggio, alla proclamazione dei risultati definitivi del voto del 14 gennaio, mentre le forze di sicurezza circondavano la sua casa costringendolo di fatto agli arresti domiciliari insieme alla moglie, i suoi sostenitori sono scesi nelle strade di alcuni sobborghi della capitale, Kampala.
Negli scontri con la polizia almeno 2 persone sarebbero rimaste uccise e 23 sarebbero state arrestate. Ma le informazioni dal paese arrivano in ritardo e in modo limitato a causa dell’interruzione dei social media e della scarsa presenza di giornalisti, soprattutto di quelli stranieri.
Domenica Maathias Mpuuga, portavoce del partito di Bobi Wine, il National Unity Party (NUP), ha convocato una conferenza stampa dove ha annunciato che “avrebbero percorso tutte le vie legali possibili per contestare questa frode”.
Le operazioni elettorali si sono svolte praticamente senza osservatori ufficiali. Unici ammessi quelli dell’Unione Africana che sono però arrivati nel paese il giorno prima del voto e hanno potuto monitorare solo le sezioni della capitale e degli immediati dintorni. In un loro comunicato hanno dichiarato che si è trattato più di una missione di solidarietà che di monitoraggio elettorale.
Un gruppo africano della società civile specializzato nel monitoraggio delle elezioni nel continente ha però potuto dispiegare almeno 2.000 osservatori, tutti ugandesi, che hanno riportato irregolarità. Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto un’inchiesta indipendente.
Ma nessuno si aspetta che il risultato finale possa essere davvero messo in discussione. Secondo Kizza Besigye, maggior candidato di opposizione nelle quattro precedenti tornate elettorali, tutto il processo è poco più di una farsa, in cui Museveni non è un semplice candidato e dunque non può essere battuto con il voto. Ma ha fatto ripetutamente notare, “il dittatore … vive un tempo preso in prestito … verrà sicuramente rimosso”.
La risposta al pronostico sembra venire dallo stesso Museveni che ha pronunciato il primo, duro discorso da vincitore indossando una giacca militare, segnalando in questo modo il suo malumore per le accuse di brogli e promettendo che non permetterà nessun genere di contestazione popolare.
Ha difeso le operazioni che si sono svolte con l’uso di macchine per il voto biometrico. Ha tacciato Bobi Wine di essere settario, un sinonimo di tribale, circostanza secondo lui confermata dai risultati nella regione del Buganda, da cui il musicista proviene.
Ma la realtà è che Bobi Wine era, e con ogni probabilità rimarrà, il candidato dei giovani che rappresentano i 75% della popolazione del paese. Da loro verrà il rinnovamento. E alcuni segni già sono visibili. Il partito di Wine ha guadagnato 56 seggi nel parlamento nazionale, dove non ne aveva nessuno. Molti parlamentari del partito di Museveni, compreso il vicepresidente Edward Ssekandi, hanno perso i loro.