Non so se qualcuno abbia detto “siamo tutti egiziani”. Eppure il caso della detenzione arbitraria in Egitto dell’attivista per i diritti umani Rami Shaath e della deportazione in Francia di sua moglie Celine, ha scosso la Francia, fino al punto che 180 deputati francesi, non però l’Eliseo, hanno scritto una lettera aperta al presidente egiziano, chiedendone la liberazione. Lui, cittadino egiziano, ha ottenuto la cittadinanza francese dopo il matrimonio con Celine. Ma in Italia se n’è parlato poco, io ne ho letto solo su Nigrizia.
Altrettanto poco si è parlato in Francia di Patrick Zaki, ricercatore per conto dell’università di Bologna, a lungo detenuto arbitrariamente come Rami Shaath. Shaath è di famiglia musulmana, Zaki di famiglia cristiano-copta. I loro rispettivi riferimenti religiosi in Egitto si sono ufficialmente pronunciati per loro? A me non risulta.
Eppure in questi giorni abbiamo appreso che Zaki è stato rinviato a giudizio per un articolo in cui parla di violazioni dei diritti dei copti. Sono accuse false, secondo il regime, che danneggiano la sicurezza nazionale. E il patriarcato cosa dice? Sono false quelle accuse o sono vere? E se fossero vere il silenzio potrebbe dipendere da un regime capace di intimidire?
Non si era detto che fosse un regime che proteggerebbe i copti? Forse li protegge come il regime siriano difende i suoi cristiani, cioè solo se politicamente muti? E il gran mufti del Cairo sul caso di Rami Shaath non ha nulla da dire? Non è un regime che difende i diritti dei musulmani non affiliati al terrorismo quello del generale al-Sisi? O forse li difende come difende i copti, cioè se politicamente muti?
Ma i casi di Shaath e Zaki chiamano in causa più l’Europa che i loro referenti spirituali, che faranno quel che possono sotto un regime come quello di al-Sisi. Esiste l’Europa? Esistendo dovrebbe occuparsi di entrambi, di Shaath, cittadino francese dal suo matrimonio, e di Zaki, ricercatore per conto di un’università di quell’Italia che dopo così lunga detenzione per il suo lavoro ancora non gli ha dato la cittadinanza. Ma dargli la cittadinanza risolverebbe il suo caso?
Per il cittadino francese Shaath non si è mossa la Francia, ma 180 deputati. Non ha ricevuto da poco la più alta onorificenza francese (la Legion d’onore, ndr) il generale al-Sisi? Così mi chiedo cosa fare per Zaki: se l’Eliseo omaggia chi detiene arbitrariamente un suo cittadino – molti sostengono per l’importanza del partenariato energetico e relative commesse – non potrebbe offrire maggiore “comprensione” all’Egitto in cambio di nuove commesse nel settore energetico anche davanti ad un nuovo attrito con l’Italia sul caso Zaki? Se non lo facesse la Francia non lo potrebbe fare qualche altro paese europeo?
Dunque il problema è come Italia, Francia e gli altri paesi europei valutano e vedono il “loro interesse nazionale”. Ѐ nostro interesse nazionale migliorare le nostre commesse in Egitto, o il nostro interesse nazionale è vivere in un contesto mediterraneo dove siano rispettati i diritti umani?
La domanda può essere meglio compresa trasformando il Mediterraneo nel nostro condominio: il nostro interesse è solo occuparci di imbellire il nostro appartamento disinteressandoci di cosa facciano e come vivano i nostri condomini? In tal caso non potremo lamentarci trovando per le scale sacchi dell’immondizia, bucce di banana e altro. E domani magari piromani.
104 milioni di egiziani vivono in una grande prigione che contiene tantissime prigioni più piccole e più feroci della grande, che però è sempre una prigione. Basta poco per essere trasferiti dalla grande alla piccola prigione.
Dunque, il caso di Patrick Zaki ci pone il problema di quale sia il nostro interesse nazionale: la qualità del nostro condominio o solo le nostre commesse? Se le società civili riuscissero in un’iniziativa che rendesse tutti i governi europei, parimenti responsabili del silenzio nei confronti del generale al-Sisi e del suo sistema di governo, pronti a dire “basta” davanti all’eccesso, ognuno potrebbe credere non compromesso il proprio interesse particolare, contribuendo un po’ a tutelare l’interesse generale.
Pensando a Zaki, a Shaath, ma soprattutto a ciò per cui combattono insieme a tantissimi altri, come Ziad el Elaimy – ex deputato anche lui difensore dei diritti umani e arrestato per terrorismo – cioè il benessere e la libertà degli egiziani. Se la società civile europea riuscisse a impegnarsi in questa battaglia europea potrebbe tornare a esistere il Mediterraneo, con Zaki e con gli altri impegnati in queste battaglie che dovrebbero essere la nostra battaglia.
Europeizzare l’impegno è il modo faticoso ma reale per mettere al riparo dalla logica del particolarismo una questione decisiva per tutti. Se l’Europa tornasse a esistere potrebbe tornare il Mediterraneo, il Grande Mare cosmopolita, dove a Beirut non c’erano i miliziani di Hezbollah, ma un dotto dell’islam che partecipava alla traduzione in arabo della Bibbia, e al Cairo c’era un teologo tra i più noti al mondo che dopo il suo viaggio in Francia disse di quel paese: «non vi ho visto musulmani, ma vi ho visto l’islam». Lo direbbe oggi di un’Europa che non sa unirsi per difende chi difende i valori che propone?
Così mi ricordo che sui nostri passaporti c’è scritto Unione europea: è lei che deve dimostrare di esistere, è l’Europa che vince o perde nel caso di Patrick Zaki, a noi compete la costruzione di un’alleanza europea, per Zaki certo, cioè per il suo paese, decisivo per il Grande Mare. Ѐ in questo senso che siamo davvero “tutti egiziani”.