L’arresto in Nigeria di 29 adolescenti nel corso delle proteste dell’agosto scorso contro l’alto costo della vita, con l’accusa di tradimento e incitamento a un colpo di stato e il rischio della pena di morte, ha sollevato le proteste e lo sdegno della società civile. I giovani, tutti fra i 14 e i 17 anni sono stati rilasciati qualche giorno fa su disposizione delle autorità nigeriane dopo aver trascorso due mesi in carcere.
La situazione a livello mondiale
La questione però rimane aperta. Sia quella che riguarda la situazione nelle carceri per i minori che spesso vengono tenuti in istituti e celle insieme ad adulti, sia quella che riguarda legislazioni che permettono di condannare a morte dei minorenni. E quello che colpisce maggiormente quando si va alla ricerca di notizie, elementi ufficiali, verifiche è la carenza di dati certi e completi. Cosa che dovrebbe accendere un campanello d’allarme. L’ultimo rapporto dell’Unicef fornisce la stima di 28 bambini o adolescenti su 100.000 abitanti reclusi nel 2023 (sulla base di un dato giorno) a livello mondiale. È il Nord America ad avere il tasso regionale più alto di minori in detenzione, pari a 72 su 100.000, poi ci sono i paesi latino americani e caraibici, 63 su 100.000, mentre l’Asia orientale e il Pacifico hanno il tasso più basso: 20 ogni 100.000.
Secondo i dati forniti dall’Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention nel 2021 nelle carceri USA c’erano circa 25mila ragazzi (tra maschi e femmine) di età inferiore ai 18 anni. Pare fossero 60mila dieci anni prima. Organizzazioni per la difesa dei minori hanno spesso denunciato che fino all’85% di loro sono detenuti in prigioni per adulti e che un’alta percentuale dei giovani tenuti in custodia è nero. Dal report dell’Unicef non emergono dati relativi al continente africano. E i ragazzi che entrano in carcere sembra finiscano in un buco nero.
Il contesto africano e la carenza di dati
Avere cifre ufficiali risulta complicato. A tenere il conto ci ha provato il progetto del Child Rights International Network (CRIN) ma l’obiettivo è risultato assai difficile. Al meglio per alcuni paesi i dati si fermano al 2014 e comunque rimangono incompleti visto che le varie fonti, a partire dalle amministrazioni delle carceri, non sembrano fornire numeri esaurienti e aggiornati. Un report del 2016 di Human Rights Watch sottolinea quanto i sistemi legislativi nazionali agiscano spesso in modo arbitrario, ad esempio tenendo in carcere i minori per periodi di tempo spropositati rispetto ai crimini contestati che richiederebbero per esempio il rilascio sulla parola. In Zambia, a esempio, l’assenza di un sistema di giustizia minorile dedicato può significare che i bambini possono attendere mesi o addirittura anni prima che i loro casi vengano conclusi.
Oltretutto, ancora in molti paesi ci sono bambini che non hanno certificato di nascita e quindi rischiano di essere trattati come adulti dal sistema di giustizia penale e privati delle tutele legali a cui avrebbero diritto secondo le norme internazionali sui diritti umani. Alcuni paesi, poi, usano la detenzione in nome della sicurezza nazionale (è il caso per esempio dei ragazzi arrestati e poi rilasciati in Nigeria). Numerosi bambini sono stati trattenuti (e molti lo sono ancora) in Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Somalia e Siria per presunta associazione con gruppi armati o estremisti. Dalla data del report citato ad oggi le cose non sono cambiate.
E molti governi continuano ad ignorare i principi contenuti nella Dichiarazione universale dei Diritti umani (1948), che parla espressamente di diritto alla vita; nella Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989, ratificata tra l’altro da 196 Stati (fra cui non ci sono gli USA). All’articolo 37 di questa Convenzione si specifica che nessun minore debba essere sottoposto a tortura e trattamenti inumani, né privato della libertà in modo arbitrario, che l’arresto e la detenzione siano l’ultima risorsa e che comunque debbano avere la durata più breve possibile. E a questo proposito si chiarisce che «né la pena capitale né la detenzione a vita senza possibilità di rilascio devono essere decretati per reati commessi da persone di età inferiore a diciotto anni». Principio già introdotto, tra l’altro, dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 1966.
Miglioramenti sul fronte pena di morte
Eppure, secondo studi condotti dal CRIN – studi fermi al 2015 – 73 Stati nel mondo hanno consentito la condanna all’ergastolo di persone per reati commessi quando avevano meno di 18 anni; altri 49 Stati hanno consentito condanne a 15 anni o più e 90 Stati a 10 o più anni. Per quanto riguarda la pena di morte, questi ultimi anni hanno registrato in Africa progressi costanti verso l’abolizione: Ciad (maggio 2020), Sierra Leone (luglio 2021), Repubblica Centrafricana (maggio 2022), Guinea Equatoriale (agosto 2022), Zambia (dicembre 2022), Ghana (luglio 2023), Zimbabwe (febbraio scorso). Ma ci sono paesi in cui viene ancora non solo sentenziata ma eseguita.
Tra questi la Somalia. Solo due mesi fa, rappresentanti dell’ONU hanno lanciato un appello perché sia risparmiata la vita di quattro giovani accusati di crimini commessi in associazione con al-Shabaab e che all’epoca dei fatti erano minorenni. Secondo Amnesty International nel 2023 a livello globale ci sono state 1.153 esecuzioni, un aumento del 31% rispetto alle 883 del 2022. I paesi con il numero più alto di esecuzioni sono la Cina (dove comunque il numero esatto rimane un segreto di Stato) Iran, Arabia Saudita (con i numeri più alti), Somalia e USA. Alla fine del 2023 si contavano almeno 27.687 persone nel braccio della morte in tutto il mondo. E dal 1990 al 2022, l’ONG ha registrato 163 esecuzioni di bambini in 10 paesi. Tra questi Repubblica Democratica del Congo (eseguita nel 2020 su un ragazzo di 14 anni), Nigeria, Sud Sudan, Sudan.