Solo una settimana fa, l’Algeria si vantava di aver convinto la giunta militare al potere in Niger ad accettare la sua opera di mediazione sulla transizione post-golpe. Ma dopo i primi giorni di trattative – che il governo algerino ha definito «inconcludenti» – sono emersi seri dubbi sulle intenzioni delle autorità nigerine.
Eppure l’Algeria avrebbe tutte le carte in regola per essere il mediatore di turno. È uno stato confinante, tra i pesi massimi della regione e si è espresso da subito contro l’opzione di un intervento militare paventato dalla CEDEAO (a trazione nigeriana). A fine agosto, aveva anche proposto un periodo di transizione di sei mesi per il ritorno del potere ai civili.
Non ci è dato sapere il grado di apprezzamento nigerino delle posizioni di Algeri. Di certo a Niamey non era piaciuto il comunicato algerino della scorsa settimana. Che aveva commentato in modo secco, dicendo che solo un forum nazionale inclusivo (nigerino) determinerà la durata della transizione.
A scanso di equivoci, il primo ministro nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine aveva dichiarato di aver appreso dell’annuncio algerino dai social media e che c’era stata «un’incomprensione con l’Algeria». Ha poi rincarato la dose, aggiungendo «non è perché siamo in una situazione difficile, ora ci facciamo manipolare. Peso bene ciò che dico!».
Frasi e toni tanto inequivocabili quanto lontani da un paese che ti ha accettato come mediatore in una crisi internazionale. E ad Algeri non è rimasto che riportare la data di inizio della sua opera, in attesa di chiarimenti da parte della giunta militare nigerina.