Scade il 5 agosto l’ultimatum della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas, 15 stati) ai militari golpisti che da una settimana stanno imbastendo un colpo di stato in Niger.
Se i golpisti non faranno un passo indietro e non riconsegneranno il potere al presidente Mohamed Bazoum, eletto democraticamente nel 2021 e ora in stato d’arresto, la Cedeao non esclude un intervento armato.
Un intervento che sarebbe considerato una «dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali», si legge in un comunicato congiunto dei governi dei due paesi saheliani che si dicono pronti «ad adottare misure di legittima difesa a sostegno delle forze armate del popolo del Niger».
Mali e Burkina Faso, retti da governi usciti da colpi di stato militari (agosto 2020 e maggio 2021 a Bamako; gennaio e settembre 2022 a Ouagadougou) e alle prese con accidentati processi di transizione alla democrazia, sono stati sospesi dalla Cedeao e sono oggetto di sanzioni economiche.
Quelle stesse sanzioni che la Cedeao ha imposto anche al Niger e che Mali e Burkina ritengono «illegali, illegittime e inumane».
E su questo punto concorda anche il governo della Guinea – esecutivo frutto di un colpo di stato nel settembre 2021 – che ha deciso di non applicare le sanzioni ed è contrario anche su un eventuale intervento militare della Cedeao.
Dunque si prefigura una coalizione di stati che nel difendere il golpe nigerino difendono anche sé stessi e le scelte di campo – è il caso di Mali e Burkina Faso – maturate in questi anni.
Prima fra tutte quella di prendere le distanze dalla Francia e di condurre la lotta contro i gruppi armati jihadisti, spina nel fianco del Sahel, con il supporto delle truppe mercenarie del gruppo russo Wagner.
Intanto a Niamey, il Partito nigerino per la democrazia e il socialismo (Pnds), il partito di Bazoum, ha denunciato che i militari golpisti hanno fatto arrestare quattro ministri (petrolio, miniere, interno e trasporti) e il presidente del comitato esecutivo del Pnds.