20 milioni di tonnellate di fanghi radioattivi sono stoccati in un deposito all’aria aperta. Accade nei dintorni della città di Arlit, a circa 250 km dalla capitale nigerina Agadez. Provengono dalla miniera d’uranio della compagnia Cominak, filiale del gruppo francese Orano. Il sito ha cessato le sue attività nel marzo 2021.
Secondo la Commissione di ricerca e informazione indipendente sulla radioattività (Criirad), un’organizzazione non governativa basata in Francia, questi rifiuti contaminano l’aria, il sottosuolo e le relative falde acquifere.
In più, sulla base di un rapporto pubblicato dalla stessa Cominak, Bruno Chareyron, ingegnere nucleare alla Criirad riporta che «la compagnia è stata costretta ad installare delle pompe speciali per recuperare le acque contaminate e le reintrodurre all’interno del sito».
Un quadro, di per sé, già poco rassicurante agli occhi di un profano. Ma il problema principale consiste nel fatto che «le pompe potrebbero non essere più funzionali in qualche decennio e, in quel caso, la contaminazione arriverebbe ad interessare le aree con acqua potabile e non solo», conclude Chareyron.
Per la compagnia Cominak non c’è nulla da temere. Il suo direttore generale Mahaman Sani Abdoulaye ha dichiarato che il suolo del sito di stoccaggio è impermeabile, il tasso di infiltrazione degli elementi tossici sta già scemando e che, negli ultimi dieci anni, non sono mai state registrare irregolarità a riguardo. Per il futuro prossimi, prevede di ricoprire i rifiuti ammassati con una struttura d’argilla spessa due metri, al fine di evitare la contaminazione dell’area.
Il dibattito su quale parere bisogna seguire è destinato a proseguire, soprattutto in Francia. Secondo i dati riportati dal Comitato tecnico di Euratom ai giornalisti di Liberation, i cugini d’oltralpe ottengono dal Niger circa un terzo dell’uranio utilizzato per le loro centrali nucleari. Il resto proviene dal Kazakistan (28,9%), Uzbekistan (26,4%) e Australia (9,9%).