Nella giornata di ieri, la Nigeria ha sospeso la fornitura d’elettricità al Niger, a cui fornisce circa il 70% dell’energia consumata.
È una sanzione prevista a livello di Comunità economica degli stati occidentali (Cedeao, o Ecowas nel suo acronimo inglese) e da aggiungere a quelle già implementate dal golpe del 26 luglio. Considerate nel loro insieme, il tenore delle misure è ritenuto più duro rispetto a quello adottato nei casi dei colpi di stato più recenti, in Mali e Burkina Faso.
Nel frattempo le negoziazioni sono in corso tra giunta militare nigerina e mediatori della Cedeao, che si trova spaccata al suo interno.
Da un lato, i ‘’legalisti’’ che richiedono il ripristino dell’ordine costituzionale entro sabato 5 agosto. Pena l’intervento armato. Una misura estrema, di cui tutte le parti in causa farebbero volentieri a meno, ma già adottata in passato e quindi non da escludere a priori.
A guidare questo fronte c’è Bola Tinubu, capo di stato della Nigeria. Più di tutti (militari golpisti in Niger esclusi), è lui a giocarsi la faccia.
Il 9 luglio, in un summit regionale della Cedeao in Guinea Bissau, si era imposto per assumere la carica di presidente di turno. Nella stessa occasione, aveva dichiarato di voler adottare una politica di zero tolleranza contro i golpi. Perno e sostanza di questa nuova strategia: la creazione di una forza militare comune per intervenire in supporto di governi civili rovesciati (e per contrastare il dilagato fenomeno del terrorismo islamico).
Poteva apparire come un roboante proclama da realizzare in un futuro senza data. Invece, neanche tre settimane dopo, ecco che Tinubu si trova con un banco di prova reale per marcare il ritorno della Nigeria ad una leadership regionale, dopo gli anni di presenza timida del suo predecessore Buhari. «Nigeria is back!» aveva allora chiosato. Il golpe in Niger si è incaricato di darle il bentornata.
Dall’altro lato, siedono i tre stati membri retti da giunte militari, che sostengono il putsch nigerino: Mali, Burkina Faso e Guinea Conakry. I più intransigenti sono senz’altro i primi due. In comunicato stampa congiunto hanno dichiarato che considererebbero ogni azione militare della Cedeao contro il Niger come «una dichiarazione di guerra nei loro confronti».
Più morbida la posizione della Guinea Conakry, che si è limitata a esprimere il suo parere contrario ad ogni intervento di forza, aggiungendo che non applicherà le sanzioni previste dalla Cedeao.
C’è tempo fino a sabato per trovare un compromesso che salvi la faccia a entrambe le parti di questa contesa.