Nel giorno dell’investitura da presidente della Nigeria, Bola Tinubu non si è limitato ai discorsi di circostanza. Ha annunciato una decisione economica di peso: via i sussidi al carburante.
Troppo alto il loro prezzo per le casse statali. Solo l’anno scorso sono costati circa 8.7 miliardi di euro. Meglio investire somme così ingenti in infrastrutture.
Difficile obiettare ad una logica del genere. Se non fosse che i sussidi sono stati introdotti negli anni ‘70 e da allora si dibatte sulla loro eliminazione per le stesse ragioni evocate da Tinubu. Se non lo si è fatto finora – e non è detto che lo si faccia questa volta – è perché il prezzo da mercato del carburante rischierebbe di essere così alto, da colpire in modo diffuso e capillare l’intera economia, contribuendo ad un’impennata di inflazione.
Uno scenario del genere sarebbe l’ultimo da augurarsi per una Nigeria alle prese con una grave crisi economica, legata soprattutto ai minori introiti dalla vendita di greggio.
Ad ogni modo, quello dei sussidi e dell’economia in crisi non sono le sole sfide che attendono Bola Tinubu.
La lista è lunga ed include il dover fare i conti con l’industria dei rapimenti e relativa insicurezza generalizzata; la lotta al terrorismo di matrice islamica nel nord del paese; le spinte secessioniste nelle zone del sud-est; e il deficit di legittimità popolare.
Quest’ultimo è il risultato di una vittoria alle elezioni in cui ha partecipato solo il 27% della popolazione (nuovo record negativo), e in cui i due principali avversari politici hanno fatto appello alle autorità giudiziarie per brogli elettorali. Il ricorso è stato presentato a fine marzo e i giudici hanno fino a 180 giorni per emettere il loro giudizio.