Il report #EndSars: police brutality, protests and shrinking civic space in Nigeria, prodotto e pubblicato il 22 marzo da una coalizione di organizzazioni della società civile nigeriana, sta facendo molto discutere.
Il Gruppo di azione sul libero spazio civico (Agfcs) formato da Spaces for Change (S4C), Rule of law and accountability advocacy centre (Rulaac), Citizens solution ntwork, Policy alert e altre associazioni locali e no-profit, si è lanciato in una incredibile missione di indagine e valutazione dei fatti avvenuti durante le proteste #EndSars in sette stati della Nigeria, da ottobre a dicembre 2020.
Alcuni attivisti hanno anche catturato le testimonianze delle vittime e dei familiari di persone torturate e uccise dalle squadre speciali di polizia Sars negli anni precedenti all’esplosione delle ultime contestazioni, negli stati sud-orientali di Enugu e Anambra, considerato il baricentro della violenza sanguinaria della polizia nigeriana.
I reporters, che hanno collaborato all’indagine, hanno invece coperto le prime occupazioni di strade e piazze da parte del pacifico movimento #EndSars e la sua avanzata in città come Lagos e Abuja, nonostante gli scontri a fuoco con le forze armate, le intimidazioni da parte delle istituzioni e le infiltrazioni di teppisti equipaggiati con bastoni e coltelli.
Nel rapporto viene anche evidenziato il ruolo fondamentale dei social network nel trionfo delle proteste, che hanno bloccato per due settimane i principali snodi commerciali e politici di una delle prime economie del continente, i punti di forza di questo movimento acefalo e ben organizzato, e l’importanza di uno spazio civico libero e partecipato.
La rabbia collettiva in marcia e il contributo di internet
L’hashtag #EndSars fece la sua prima apparizione sui social media nel 2017, prodotto del malcontento giovanile nei confronti dell’unità anti-rapina e della sfiducia verso le istituzioni centrali che, inerti davanti agli abusi sui civili, occultavano i crimini compiuti dagli ufficiali della polizia.
Oltretutto ogni anno, i nuovi leader di governo e ispettori generali della polizia nigeriana propagandavano la riforma dell’apparato, senza tuttavia apportare significativi cambiamenti, né perseguendo agenti e commissari che si macchiavano di gravi violazioni dei diritti umani.
Il 3 ottobre 2020 un ragazzo venne ucciso ad Ughelli, nello stato meridionale del Delta, e gli ufficiali dell’unità Sars della zona, colpevoli dell’omicidio, scapparono via con la sua jeep. Un testimone oculare postò un tweet denunciando l’accaduto. Il tweet venne condiviso oltre 10mila volte, in tempo record. Il giovane, che per primo riprese con il suo smartphone il brutale delitto, provocandone la diffusione virale sui social, venne arrestato dalla polizia poche ore dopo.
Così il movimento #EndSars, ravvivato dal web, scese in piazza a Lagos e ad Abuja dando ufficialmente inizio alle proteste l’8 ottobre 2020. Studenti, attivisti, giornalisti, giovani imprenditori, marciarono compatti anche negli stati di Cross River, Anambra, Imo ed Enugu. Il 14 ottobre, centinaia di dimostranti sfilarono verso la sede del governo statale ad Akwa, nello stato di Anambra, chiedendo un incontro con il governatore, Willie Obiano.
Il capo dello stato federale li ricevette e su richiesta dei manifestanti sollevò da qualsiasi incarico l’ex comandante dell’unità Sars più sanguinaria dello stato, James Nwafor, accusato di aver torturato decine di giovani durante il suo mandato.
A Owerri, la capitale dello stato di Imo, gruppi di dimostranti si riunirono attorno all’Università statale, presidiata dalle forze di polizia. Un agente puntò la pistola contro un attivista, ma la potenza collettiva non arretrò di un passo e l’ufficiale venne costretto a rinfoderare l’arma.
Molti dimostranti sono rimasti uccisi, contusi o feriti durante le proteste. La prima vittima è stato Jimoh Isiaq, ucciso da un proiettile della polizia a Ogbomosho, nello stato di Oyo. Il 9 ottobre, ad Abuja, gli ufficiali delle forze armate spararono gas lacrimogeni e acqua bollente sui dimostranti, alcuni vennero picchiati e arrestati.
Il 20 ottobre, la sparatoria dell’esercito nigeriano sui gruppi di attivisti al casello autostradale di Lekki, a Lagos, provocò almeno 12 morti e tantissimi feriti. Obianuju Catherine Udeh, alias DJ Switch, nota musicista nigeriana, fece una diretta sul suo canale Instagram proprio durante il conflitto a fuoco. I social sono serviti anche a questo, a documentare gli eventi in tempo reale e senza filtri, smentendo tutti coloro che avrebbero potuto negare i crimini che si stavano commettendo sui civili.
Un attacco diretto alla stampa è stato invece lanciato il 24 ottobre, quando un giovane giornalista, collaboratore della piattaforma online Gbah TV, è stato arrestato dalla task-force dello stato di Lagos mentre filmava un gruppo di malviventi che stavano assaltando il magazzino del ministero dell’agricoltura nell’area governativa di Agege, in cui erano stati depositati enormi quantitativi di derrate alimentari da destinare alle famiglie più povere dell’area, maggiormente colpite dall’emergenza Covid. Nonostante la presentazione del documento identificativo di reporter, il giornalista è stato portato via dalla polizia e trovato morto pochi giorni dopo nell’obitorio di Ikorodu.
Awkuzu: il campo d’azione dei criminali in uniforme
Nel gennaio 2013, 35 corpi senza vita vennero trovati mentre galleggiavano nel fiume Ezu, al confine tra gli stati di Anambra ed Enugu. Un gruppo di attivisti per i diritti umani accusò gli ufficiali della Sars di essere responsabili delle morti. Tuttavia, le indagini non partirono e gli assassini non vennero identificati.
Awkuzu, la sede principale dell’unità Sars dello stato di Anambra, prima del suo smantellamento, era nota per i quotidiani arresti ed esecuzioni extra-giudiziali di giovani uomini e donne, da parte degli agenti anti-rapina. La Sars, qui, era un importante strumento per risolvere le controversie comunitarie, le infrazioni civiche tra privati cittadini e veniva impiegata da politici e personalità autorevoli per realizzare i loro interessi, spesso minacciando o privando della libertà e della vita i critici e i dissidenti.
I testimoni, i sopravvissuti e le famiglie delle vittime della Sars residenti in questa zona della Nigeria hanno raccontato all’Agfcs lo stato di terrore in cui vivevano e gli abusi visti o subiti.
Gli ufficiali Sars, spesso identificati con degli pseudonimi per nascondere la loro vera identità, arrestavano sventurati giovani, presumibilmente innocenti, e li detenevano in celle sovraffollate, negandogli per ore acqua e cibo. C’era chi moriva per fame e chi per le torture subite, e i corpi dei deceduti rimanevano nelle celle per ore o per giorni, o venivano trasportati in alcune stanze della stazione di polizia dagli stessi detenuti.
Gli arrestati non potevano ricevere visite da parte di familiari e avvocati. Le famiglie, altrettanto spesso, non sapevano neppure dove cercare i parenti scomparsi.
I “teatri” erano le stanze della questura di Awkuzu, in cui si consumavano le torture sui detenuti. Gli interrogati venivano minacciati con pistole, schiaffeggiati, picchiati, costretti ad accusare di crimini mai commessi persone del tutto innocenti, venivano inoltre frustati con cavi elettrici e sfregiati con i machete. Alcuni ufficiali sparavano gas lacrimogeni nelle celle affollate e abusavano sessualmente di uomini e donne.
Per il rilascio dei detenuti, gli ufficiali Sars chiedevano in cambio cospicue tangenti o pretendevano riscatti quando erano coinvolti nei sequestri di persona.
Al di là delle terribili pratiche di routine, un’altra delle attività in cui si presume fossero coinvolti gli agenti era il mercato nero di cadaveri. I corpi di alcune vittime degli abusi sarebbero stati infatti venduti direttamente o indirettamente ad alcuni ospedali universitari nigeriani, per ragioni di pratica medica, formazione e ricerca.
Questa compravendita illegale e immorale venne denunciata anche nel 2009 dalla BBC nel report Nigeria police: issuing corpses and denials, in cui viene menzionato un registro ottenuto dall’ospedale universitario dello stato di Enugu in cui sono schedati 76 corpi di persone decedute, depositati dall’unità Sars dello stato tra giugno e novembre 2009.