La lista dei nigeriani uccisi o rapiti da bande armate che imperversano nel paese o dei gruppi di jihadisti, non fa che allungarsi da una settimana all’altra. Tra le vittime anche centinaia di fedeli delle chiese cattoliche e protestanti presenti in varie diocesi, e decine di sacerdoti e religiosi.
Solo tra gennaio e marzo si erano contati oltre 900 cristiani uccisi, mentre altre decine di azioni terroristiche proseguirono con un minor numero di vittime, fino a domenica 5 giugno, quando uomini armati attaccarono la chiesa di San Francesco di Owo, nello stato meridionale di Ondo, causando oltre 40 morti e decine di feriti, tra cui molte donne e bambini. Solo il 9 agosto l’esercito ha annunciato la cattura di 5 persone che le autorità sospettano siano legati all’Iswap, la Provincia dello Stato islamico in Africa occidentale. Che finora mai aveva colpito così a sud.
Nello stesso mese, il 19 giugno, furono attaccate altre due chiese, una cattolica e una battista, provocando altri morti e feriti, e altri rapimenti di persone. Dopodiché, il 25 e il 26 del mese, vennero uccisi altri due sacerdoti, padre Vitus Borogo e padre Christopher Odia Ogedegbe, negli Stati di Kaduna e di Edo.
“Siamo preti, non terroristi!”, “Il governo dovrebbe proteggere i nigeriani”, “La giustizia deve essere servita”, “Abbiamo ancora un governo?”, recitavano alcuni dei cartelli sostenuti dagli oltre 700 sacerdoti giunti da ogni parte del paese per le esequie di padre Borogo. Una manifestazione di protesta che non è la prima negli ultimi dieci anni di attacchi.
«Nei miei 60 anni di età, non ho visto tanto male come ora, nemmeno durante la guerra civile. Qualcosa non va con la leadership di questo paese» aveva dichiarato durante la cerimonia mons. Matthew Man-oso Ndagoso, arcivescovo di Kaduna.
E gli aveva fatto seguito padre Jega Daniel Romanus celebrando, il 21 luglio, il funerale di un altro sacerdote rapito e assassinato una settimana prima, padre John Mark Cheitnum, nella diocesi d Kafanchan. «Oggi seppelliamo un sacerdote vittima di un governo locale, uno stato e un paese falliti», dichiarava nell’omelia padre Romanus.
E a luglio gli attacchi sono continuati con altri sette religiosi sequestrati, quattro dei quali sono stati poi uccisi.
La voce della chiesa
In un’intervista rilasciata qualche giorno fa, mons. Luka Sylvester Gopep, vescovo ausiliare di Minna, descrivendo la situazione del paese, ha fatto risalire la fonte della violenza odierna al movimento jihadista che sorse a Maiduguri, capitale dello stato di Borno, nel giorno di Natale 2011, quando un commando di Boko Haram (lit. l’educazione occidentale è un abominio) deciso ad imporre la legge islamica in Nigeria, attaccò la chiesa di Santa Teresa a Madalla, uccidendo 60 persone e ferendone molte altre, in un’area in cui da sempre coesistevano pacificamente chiese e comunità islamiche.
Da allora gli attacchi si sono estesi a vari stati senza distinzione tra moschee, chiese, istituzioni pubbliche, stazioni di polizia o istituti scolastici. Questi ultimi sono tra i più colpiti quest’anno, con il conseguente aumento del tasso di abbandono scolastico che, secondo l’Unicef, ha portato circa 18 milioni e mezzo di bambini, il 60% dei quali sono ragazze, ad abbandonare la scuola.
Ora a Boko Haram, che dominano larga parte dei territori nord orientali, si sono aggiunti gruppi di quelli che il governo definisce “banditi”, pastori fulani armati che fanno irruzione nelle comunità per rubare mandrie di bestiame, uccidere persone e violentare donne, come pure bande di rapitori dediti a sequestri a scopo di estorsioni, finanziarie e materiali.
Le sedici parrocchie della diocesi di Minna, guidata da mons. Gopep, vescovo ausiliare di mons. Martin Igwemezie Uzoukwu, sono state tutte attaccate da criminali. «Banditi o terroristi – dice il vescovo – arrivano anche in pieno giorno, catturano intere famiglie, lasciano solo i bambini e portano via gli adulti. Quindi contattano i parenti dei rapiti per chiedere il riscatto. E se non viene pagato ammazzano gli ostaggi».
«Tra le donne e le ragazze rapite – prosegue -, alcune vengono date in sposa ai rapitori, alcune violentate e altre vendute ad altre bande per sfruttamento sessuale. I bambini vengono lasciati soli nelle loro case e comunità. La Chiesa locale tra i suoi compiti ha assunto la responsabilità di prendersi cura di loro, sfamandoli e garantendo assistenza medica e psicologica».
L’incapacità del governo di dare sicurezza ai cittadini ha fatto sì che oggi molte comunità vadano formando gruppi locali di autodifesa, violando spesso la legge, senza più ricorrere alle autorità statali o federali. Questo dimostra, in ogni caso – secondo mons. Gopep – che il governo sta perdendo legittimità e controllo del monopolio della forza e del territorio.
Se dovesse protrarsi questa situazione, a pochi mesi dalle elezioni di febbraio, sarebbe un segno che davvero il paese è sulla via della disintegrazione. Il governo si limita in genere a vuote dichiarazioni, sbandierando di voler porre fine, a livello nazionale e nei vari stati, alle condizioni di insicurezza e alle incessanti azioni terroristiche, ma tutti aspettano, forse invano, il momento in cui qualcuno sarà arrestato e accusato in tribunale per favoreggiamento all’insicurezza e al banditismo.
Molti affermano che polizia e autorità di governo sappiano dove si nascondano i banditi. Se questo fosse vero, non si spiega perché non sia mai stato fatto nulla per arrestarli o porre fine alle loro violenze. Il dovere prioritario del governo è proteggere le persone che lo hanno eletto. La gente si chiede dunque perché, se il governo da solo non è in grado di garantire la sicurezza dei nigeriani, non chieda aiuto ad altri paesi.
Domande legittime, tanto più se si considera che molte forze nigeriane sono impegnate in operazioni di mantenimento della pace e di assistenza in altri paesi. Considerando anche l’enorme spesa militare, cresciuta del 56% nel 2021, con un costo complessivo che, ad oggi, si aggira attorno ai 5 miliardi e mezzo di dollari.
Milizie di autodifesa
Gli interventi dell’esercito e della polizia federale sono apparsi finora fallimentari, meglio hanno fatto strutture create da alcuni stati nel nord e nell’ovest del paese, cioè – come accennato -, gruppi di milizie dipendenti dalle autorità statali locali, come l’Amotekun o le Civilian Joint Task Forces (Jtf) che hanno registrato molti successi nella lotta contro terroristi e bande criminali.
Il punto debole è che sono scarsamente equipaggiati per combattere avversari provvisti di un migliori armamenti. Queste milizie locali sono costituite da gente del luogo che offre protezione a se stessa, alle famiglie e alla popolazione. Purtroppo si va assistendo anche a forme radicali di azione anticriminale, definita ‘giustizia della giungla’, un fenomeno che si verifica quando i gruppi della milizia locale arrestano dei banditi, ma invece di consegnarli alle autorità compiono esecuzioni extragiudiziali.
Appelli inascoltati
I vescovi e altri leader ecclesiali da sempre hanno denunciato i rischi della violenza crescente, con comunicati, incontri con leader politici a livello locale e statale, invio di delegazioni al governo centrale, ma le promesse di interventi rapidi per risolvere la situazione si sono sempre perse nel vuoto.
A partire dal 2020, durante la pandemia, quando la situazione si era fatta più preoccupante e cittadini innocenti, compresi alcuni sacerdoti, vennero assassinati, i vescovi avevano più volte radunato fedeli cattolici e persone di buona volontà in tutta la federazione, dando vita anche ad una rete di protesta pacifica contro le incessanti violenze e uccisioni.
Al di là delle reiterate denunce, ritenendo inappropriato scendere personalmente nell’arena politica della Nigeria, i presuli non possono che insistere nell’incoraggiare i fedeli e i nigeriani tutti ad assumersi le proprie responsabilità civili, ammonendo soprattutto le autorità politiche e civili, a tutti i livelli, a impegnarsi pienamente nel processo di pacificazione, indispensabile per garantire un futuro di prosperità alle nuove generazioni del paese più popoloso del continente