In Nigeria è tornata alla ribalta delle cronache la città di Chibok, nello Stato di Borno, dove otto anni fa un commando di Boko Haram rapì 276 studentesse, che frequentavano un liceo locale. Un sequestro che suscitò l’indignazione di tutto il mondo, culminata con il lancio della campagna digitale su Twitter #BringBackOurGirls (Restituiteci le nostre ragazze), che grazie anche al sostegno dell’allora first lady statunitense Michelle Obama raccolse centinaia di migliaia di sostenitori.
Nelle ultime settimane, i miliziani del gruppo estremista nigeriano stanno concentrando i loro attacchi all’interno e nei villaggi circostanti la nota località della Nigeria nordorientale, che dallo scoppio dell’insurrezione jihadista (luglio 2009) ha subito 72 attacchi che hanno provocato 407 vittime.
I continui attacchi
Nello scorso mese di gennaio, l’area di Chibok è stata attaccata tre volte dai terroristi che hanno preso di mira una base militare nei pressi di Kuda e le comunità dei villaggi di Kautikari, Kawtakare, Korohuma e Pemi con un bilancio complessivo di sei soldati e cinque civili uccisi, 22 donne e due uomini rapiti, una chiesa incendiata e più di 150 edifici rasi al suolo.
Gli islamisti nigeriani sono rimasti un giorno intero all’interno delle comunità di Kawtakare, Korohuma e Pemi, dove agendo indisturbati hanno dato alle fiamme 110 abitazioni, nonostante a Chibok sia di stanza la 28th Task Force Brigade dell’esercito nigeriano.
Tutti questi attacchi hanno una peculiarità che li accomuna: i terroristi che li portano a termine hanno la loro roccaforte nella famigerata foresta di Sambisa, che lo scorso maggio è stata teatro di aspri scontri tra la fazione di Boko Haram che ha conservato il nome integrale del gruppo Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’Awati wal-Jihad (Jas) e la fazione rivale, la provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (Iswap).
Nel corso degli scontri è avvenuta l’eliminazione dello storico leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, che ha segnato il passaggio del controllo della foresta di Sambisa all’Iswap. Da qui, la fazione predominante dell’organizzazione terroristica nigeriana continua a sferrare sanguinosi attacchi nelle aree antistanti, come accadeva in passato con la fazione di Shekau. Senza tralasciare, che la conquista della roccaforte di Sambisa conferisce all’Iswap il controllo di una parte considerevole dello stato di Borno e della maggior parte delle strade nel capoluogo regionale di Maiduguri.
Una rigogliosa riserva naturale
Buona parte della foresta di Sambisa un tempo era una rigogliosa riserva, che ospitava una grande varietà di animali selvatici e alla fine degli anni Settanta attirava turisti a caccia di emozioni, da ogni parte del mondo.
Oggi la storia è radicalmente cambiata perché la foresta è diventata la sede dell’infrastruttura organizzativa, operativa, logistica e tecnologica di Boko Haram, compreso il comando regionale, l’armeria, i campi di addestramento, i centri di detenzione, i luoghi adibiti alle esecuzioni, le fabbriche artigianali di esplosivi, gli ampi spazi riservati alla preghiera, i magazzini per lo stoccaggio degli alimenti e le stalle per il bestiame. Oltre a rappresentare la principale destinazione per i prigionieri di guerra dei jihadisti, compresi i rapiti, le schiave sessuali e le donne sequestrate a scopo di riscatto.
Allo stesso modo di Chibok, Sambisa ha ottenuto la ribalta internazionale nell’aprile 2014 con il rapimento delle 276 studentesse. Dopo il sequestro, l’intricata boscaglia divenne uno dei teatri primari delle operazioni di contro-insurrezione delle forze armate nigeriane, che nonostante i notevoli successi ottenuti dal 2015 a oggi, non sono riusciti a liberare parte della foresta dal controllo degli insorti.
Spazi enormi
Le difficoltà principali derivano dalla grande estensione di Sambisa, nonché dalla sua naturale ingovernabilità e in particolare dal fatto che si trova lungo un’ampia frontiera internazionale, caratterizzata da confini porosi e poco presidiati. Tutto questo ha permesso ai jihadisti di pattugliare il terreno senza troppe difficoltà e rafforzare le loro posizioni tattiche.
I militanti di Boko Haram hanno anche utilizzato la foresta in maniera efficace come un importante sito per la produzione dei media dedicata alla propaganda, alla guerra ideologica e alla radicalizzazione. In questo modo sono riusciti a mantenere un livello apprezzabile di visibilità e propaganda al di fuori dei confini della Nigeria.
Rispetto ad altre aree del paese africano, la foresta di Sambisa è la base strategicamente più propizia per il modello di guerriglia asimmetrica messo in atto da Boko Haram. Soprattutto, la sua struttura territoriale, caratterizzata da boschi intervallati da colline, rocce e fitta giungla, unita alla permeabilità dei confini, così come il paesaggio boschivo nella regione del lago Ciad, hanno offerto agli insorti la massima opportunità di manovrabilità tattica transfrontaliera.
Nella sostanza, dopo aver attaccato un villaggio o una base militare, i miliziani si occultano nella foresta per riapparire in qualsiasi paese del bacino del lago Ciad che intendono colpire. Ed è proprio all’interno della parte inferiore del bacino, che l’insorgenza è diventata più immanente e palpabile.