La Nigeria è in subbuglio per l’ondata di proteste antigovernative e per il carovita, #EndBadGovernance, entrate oggi nel loro settimo giorno.
Manifestazioni con centinaia di migliaia di persone, indette sulla scia di quelle portate avanti in Kenya dalla cosiddetta Generazione Z, che ha ottenuto lo scioglimento del governo e l’archiviazione della contestata legge finanziaria.
Fin dal primo giorno le proteste nel paese più popoloso del continente sono state caratterizzate da violenti scontri con la polizia e da saccheggi ad attività commerciali e proprietà pubbliche e private, in particolare negli stati federali del nord, tra cui Kaduna, Kano, Plateau e Jigawa, nonostante l’imposizione del coprifuoco in alcuni di questi.
A nulla è servito l’appello fatto quattro giorni fa dal presidente Bola Tinubu, che si è dichiarato aperto la dialogo, chiedendo alla popolazione di sospendere la mobilitazione e la fine dello “spargimento di sangue”.
Sotto accusa anche in Nigeria, così come avvenuto in Kenya, la violenta reazione delle forze di sicurezza che in alcuni casi hanno sparato sulla folla disarmata. Sarebbero 13 le persone uccise finora secondo Amnesty International, 7 secondo la polizia che ha fatto sapere d’aver arrestato 700 manifestanti, tra cui uno dei leader delle proteste, che dovrebbero continuare fino al 10 agosto.
Appelli dei vertici religiosi
Un appello per la fine della mobilitazione è arrivato anche dal Consiglio interreligioso nigeriano (NIREC), che include la Conferenza episcopale cattolica, secondo cui i disordini “non sono la soluzione” e possono solo “aggravare ulteriormente lo stato già fragile della nazione”. “Il NIREC invita i concittadini nigeriani a interrompere questa protesta e a dare al governo la possibilità di riscattarsi”, è l’appello diffuso il 2 agosto scorso. Anche questo rimasto inascoltato.
Si sono invece rivolti direttamente al presidente i vescovi cattolici della provincia ecclesiastica di Onitsha, chiedendogli di “annunciare misure concrete da adottare immediatamente per placare le preoccupazioni della maggioranza dei cittadini, al di là dei semplici palliativi”, considerati “distrazioni irritanti e canali di corruzione”.
“C’è molta fame nel paese, le persone si ammalano e muoiono di povertà e non riescono ad acquistare medicine e pagare le cure ospedaliere. Hanno difficoltà a pagare le tasse scolastiche dei loro figli e il costo del cibo e dell’elettricità è in costante aumento”, ha affermato invece in modo più pragmatico l’arcivescovo di Lagos, Alfred Adewale Martins.
“La gente vuole vedere i propri leader prendere l’iniziativa nel fare sacrifici e credo che alcuni di questi gesti placheranno la rabbia nel paese”, ha aggiunto, esortando il governo a implementare politiche incentrate sulle persone per eliminare quella che ha definito “povertà multidimensionale”.
In Nigeria il 37% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e nel nord-est ci sono 4,4 milioni di cittadini che soffrono di insicurezza alimentare, secondo il Programma alimentare mondiale.
L’ombra di Mosca sulle proteste
Ma a preoccupare le autorità nigeriane in queste ore è la possibilità di interferenze straniere nelle proteste, in seguito alla comparsa di centinaia di bandiere della federazione russa, sventolate da alcuni manifestanti negli stati settentrionali di Borno, Kaduna, Kano e Katsina, con alcuni di loro che inneggiavano a un intervento militare per rovesciare il governo.
La polizia segreta (DDS) è intervenuta arrestando alcuni sarti, “colpevoli” d’aver realizzato i vessilli. In manette sarebbero finiti anche alcuni degli “sponsor”, secondo quanto affermato dal capo di stato maggiore della difesa nigeriana, generale Christopher Musa. “Abbiamo identificato coloro (che li sponsorizzano) e prenderemo seri provvedimenti contro di loro”, ha detto Musa, senza fornire ulteriori dettagli. In tutto gli arrestati sarebbero una quarantina, tra cui anche sette cittadini polacchi.
L’ambasciata russa in Nigeria si è intanto affrettata a negare un suo coinvolgimento. “Il governo della federazione russa e i funzionari russi non sono coinvolti in queste attività e non le coordinano in alcun modo”, è la dichiarazione diffusa il 5 agosto.
Parole che non rassicurano le potenze occidentali, vista l’accresciuta attività russa in Africa occidentale e in particolare in Mali, Niger e Burkina Faso, dove le giunte militari salite al potere in seguito a dei colpi di stato hanno stretto forti legami con Mosca, rompendo ogni rapporto con Stati Uniti e Francia.