Oms: sradicare la mortalità materna e neonatale, una meta lontana
Pace e Diritti Salute
Nigeria, Rd Congo, Etiopia e Tanzania tra i 10 paesi più colpiti al mondo
Oms: sradicare la mortalità materna e neonatale, una meta ancora lontana
L’ultimo rapporto delle agenzie dell’Onu parla di 4 milioni e mezzo di decessi all’anno, in gran parte evitabili con cure e assistenza adeguate. Ma i finanziamenti ai sistemi sanitari sono sempre meno. Serve ridurre le disuguaglianze
15 Maggio 2023
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 4 minuti

Oltre 4,5 milioni di donne e bambini muoiono ogni anno durante la gravidanza, il parto o durante le prime settimane dopo la nascita: 1 decesso ogni 7 secondi. E muoiono principalmente per cause prevenibili o curabili se solo fosse disponibile un’assistenza adeguata. La maggior parte dei casi riguarda l’Africa subsahariana, ma anche l’Asia centrale e meridionale. È quanto risulta da un recente rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in collaborazione con altre agenzie dell’Onu.

Dall’analisi emerge che i progressi globali nella riduzione dei decessi di donne incinte, madri e bambini sono stati fermi per otto anni e questo principalmente a causa della diminuzione degli investimenti nella salute materna e neonatale. Ma anche, va aggiunto, a causa di negligenze, di una diffusa mancanza di professionalità e di attenzione da parte delle operatrici e operatori sanitari, come è stato spesso denunciato.

Inutile dire che la pandemia di Covid-19 ha creato ulteriori battute d’arresto nel fornire un’adeguata assistenza sanitaria alle donne in stato di gravidanza. Il rapporto Migliorare la salute e la sopravvivenza materna e neonatale e ridurre la morte del neonato valuta gli ultimi dati su questi decessi – che hanno fattori di rischio e cause simili – e tiene traccia della fornitura di servizi sanitari specifici.

Non è una sanità per donne e bambini 

Nel complesso, viene evidenziato che i progressi nel miglioramento della sopravvivenza sono rimasti fermi dal 2015, con circa 290mila morti materne ogni anno, 1,9 milioni di nati morti (bambini che muoiono dopo 28 settimane di gravidanza) e l’incredibile cifra di 2,3 milioni di morti neonatali, le morti nel primo mese di vita.

Secondo i dati forniti dall’Onu la pandemia, l’aumento della povertà e il peggioramento delle crisi umanitarie hanno intensificato le pressioni sui sistemi sanitari, soprattutto su quelli già in difficoltà. E di questo hanno fatto le spese donne, nascituri e bambini.

Dal 2018, più di tre quarti di tutti i paesi colpiti da conflitti e dell’Africa subsahariana segnalano un calo dei finanziamenti per la salute materna e neonatale. Solo 1 paese su 10 (su oltre 100 intervistati) dichiara di disporre di fondi sufficienti per attuare i propri piani sanitari.

Inoltre, secondo l’ultima indagine dell’Oms sugli impatti della pandemia sui servizi sanitari essenziali, circa un quarto dei paesi segnala ancora interruzioni e la difficoltà – o impossibilità – di assistenza per le donne incinte e per le visite postnatali.

Insomma, non solo è difficile affrontare casi di emergenza – fatto dovuto alla carenza di personale, macchinari e persino medicinali – ma anche l’assistenza di base è ridotta al minimo. E mentre la nascita prematura è ora la causa principale di tutti i decessi sotto i cinque anni a livello globale, meno di un terzo dei paesi dichiara di disporre di unità di assistenza neonatale sufficienti per curare bambini piccoli e malati.

Nel frattempo, circa due terzi delle strutture di lavoro di emergenza nell’Africa subsahariana non sono considerate completamente funzionanti, il che significa che mancano di risorse essenziali come, appunto, medicinali e forniture, acqua, elettricità o personale per l’assistenza 24 ore su 24. Nei paesi più colpiti dell’Africa subsahariana e dell’Asia centrale e meridionale, meno del 60% delle donne riceve i necessari controlli prenatali.

Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Etiopia e Tanzania, in particolare, fanno parte dei primi 10 paesi più colpiti al mondo.

Eliminare le disuguaglianze

Ovvio che le donne e i bambini che rischiano di più sono quelli che vivono in aree isolate, in stato di bisogno, con un basso tasso di istruzione. In situazioni di vulnerabilità, insomma. Una situazione – e uno stato costante di rischio – che viola i diritti umani e la dignità delle persone ed ha a che fare con la mancanza di rispetto per le donne.

Affrontare la mortalità materna e neonatale vuol dire, fondamentalmente, eliminare fattori come le disuguaglianze socio-economiche, la discriminazione, la povertà e l’ingiustizia sociale.

Per migliorare la salute materna e neonatale – afferma il rapporto – è necessario affrontare le dannose norme di genere, i pregiudizi e le disuguaglianze. Per esempio, i dati mostrano che solo il 60% circa delle donne di età compresa tra 15 e 49 anni prende le proprie decisioni in materia di salute e diritti sessuali e riproduttivi.

Inoltre, secondo il National Health Institute, in Africa, quasi un terzo delle adolescenti rimane incinte, mentre dati del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) evidenziano che le ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni hanno il doppio delle probabilità di morire durante il travaglio rispetto alle donne di età pari o superiore a 20 anni.

Sulla base delle tendenze attuali, dunque, più di 60 paesi non sono pronti a raggiungere gli obiettivi di riduzione della mortalità materna, neonatale e dei nati morti previsti dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e che dovrebbero, nelle intenzioni, essere attuati entro il 2030.

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