In questi giorni, il cinema africano ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi con le nomination agli Oscar 2024 e al Festival Internazionale di Berlino (Berlinale), evidenziando la diversità e l’eccellenza delle produzioni cinematografiche del continente.
Certo, c’è stata l’esclusione da parte dell’Academy dalla categoria Miglior film straniero, nella quale il continente era stato presente fino alle ultime shortlist con The Mother of All Lies, diretto dalla regista marocchina Asmae El Moudir, e prima ancora con Under the Hanging Tree, ad opera del regista namibiano-britannico Perivi Katjavivi.
Ma l’Africa rimane in gara nella categoria dedicata al Miglior documentario (lungometraggio). Tra i film e i registi che hanno attirato l’attenzione dell’Academy statunitense, spiccano il documentario sull’oppositore politico ugandese Bobi Wine e il lavoro rivoluzionario della regista tunisina Kaouther Ben Hania.
Il documentario dedicato a Bobi Wine è stato nominato per il miglior lungometraggio documentario agli Oscar 2024. Il documentario, che illustra la sua coraggiosa campagna di opposizione contro il regime del presidente Yoweri Museveni, ha catturato l’attenzione del pubblico internazionale.
Bobi Wine, al secolo Robert Kyagulanyi, cantante e politico che da anni conduce una campagna serrata contro il regime di Yoweri Museveni, ha commentato l’importanza di vedere la storia dell’Uganda riflessa agli Academy Awards, sottolineando la continua lotta per la democrazia. In un clima di feroce repressione, Wine ha perso le elezioni presidenziali del 2021, scatenando proteste a livello nazionale e anche per le gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza.
Un risultato storico anche per la regista tunisina Kaouther Ben Hania, che con Four Daughters è diventata la prima donna araba ad ottenere due nomination agli Oscar, confermando il suo ruolo pionieristico nel panorama cinematografico. Ben Hania, già nominata nel 2021, ha aperto nuove prospettive per le registe arabe. Il suo impegno nel cinema documentaristico ha sfidato le aspettative dell’industria. Il suo ultimo lavoro segue la storia di una madre tunisina, le cui due figlie maggiori sono scappate di casa per unirsi allo Stato islamico in Libia.
Tre film a Berlino
Il cinema africano è pronto a fare la sua parte anche alla 74a edizione del Festival Internazionale di Berlino (dal 15 al 25 febbraio) con tre film su venti in corsa per l’Orso d’Oro.
Il regista mauritano Abderrahmane Sissako ritorna dopo un periodo di assenza con il suo film Perfumed Hill. La pellicola racconta la toccante storia d’amore tra un giovane ivoriano e il proprietario di un negozio di esportazione di tè nella comunità africana di Canton, in Cina.
Segue la regista franco-senegalese Mati Diop, vincitrice del Gran Premio al Festival di Cannes 2019 per Atlantique, che presenta il suo nuovo documentario Return. Il film affronta un tema attuale e rilevante, esplorando la restituzione da parte della Francia dei tesori del regno del Dahomey al Benin, trafugati durante l’era coloniale.
Per ultima troviamo di nuovo una regista tunisina: Meryam Joobeur rappresenta la Tunisia con il suo primo film Me el Ain (Da dove veniamo). La pellicola si inserisce nel contesto cinematografico tunisino, che negli ultimi dieci anni ha assunto un ruolo di leadership nella produzione cinematografica araba e africana. (AB)