Alcuni dati. Nel 2021, per il nono anno consecutivo è peggiorato l’indice della pace globale, elaborato dall’Institute for Economics &Peace che classifica 163 stati e territori indipendenti. Secondo il rapporto Caritas Falsi equilibri sarebbero in corso 22 conflitti nel mondo (11 nella sola Africa subsahariana), con 82,4 milioni di persone in fuga a causa di guerre e violenze.
In un rapporto Demos, citato dallo studio Caritas, il 62% degli italiani pensa che sia più efficace la mediazione politica che un intervento militare. Una percentuale che non si accoppia con la realtà. Le spese militari mondiali sfiorano i 2mila miliardi, raddoppiate dal 2000 a oggi. E nel 2021, come ci ricorda Valori, a stappare lo spumante in Italia sono state proprio le fabbriche di armi. «La legge di bilancio per il 2022 sfonda il muro dei 25 miliardi per il ministero della difesa, un aumento del 3,4% sul 2021 e circa il 20% negli ultimi tre anni». Per nuovi armamenti stanziati 8,27 miliardi di euro (record storico: +15,8%).
Pesano in particolare i piani militari che hanno preso la forma di 23 nuovi programmi per un totale di 12 miliardi di euro, come ricorda l’Osservatorio Mil€x. Armi necessarie anche per gli equipaggiamenti degli oltre 9 mila militari italiani dispiegati nelle 42 missioni all’estero (più 3 missioni delle forze di polizia).
Un panorama monocorde. Monotono. Dove trionfa la guerra e la produzione di armamenti. E la voce dei pacifisti, in tutto questo? Dopo gli anni in cui le città, le piazze, si coloravano di bandiere arcobaleno, chi si oppone oggi alla violenza e ai profitti guerrafondai rappresenta ancora un movimento? O il pacifismo è soffocato dalla propria impotenza, frustrazione e disincanto?
Il 25 aprile 2014, con l’Arena di Verona colma di persone e di speranze, è stato solo una fiammata che si è spenta con la vita quotidiana del giorno dopo? Alessandro Marescotti, di Peacelink, ha scritto su Micromega che la parola “pacifista” sta per scomparire da Google news. «Come se la semantica si fosse inaridita».
Gli anni della pandemia hanno contribuito a mettere il silenziatore alle piazze. Ma già prima del Covid-19 il movimento era inespressivo e pure diviso al proprio interno. Nel 2014 molte organizzazioni e associazioni hanno abbandonato la Tavola della pace (la struttura che organizza la marcia Perugia-Assisi) per dar vita alla Rete della pace. Sei anni dopo, il 21 settembre 2020, quest’ultima e la Rete italiana per il disarmo (fondata nel 2004) si sono fuse nella Rete italiana pace e disarmo. Ma i dissapori con gli organizzatori della marcia non si sono ancora stemperati.
Tuttavia, le ragioni di una presunta afonia non sono certo da ricercare negli scontri interni. Anzi, c’è chi sostiene che mai come ora il movimento scoppi di salute. Infatti, non è per nulla in crisi la sua capacità di advocacy, di influenzare la politica pubblica, e di avere visibilità mediatica. È l’opinione, ad esempio, di Francesco Vignarca e Franco Uda, dell’Arci. Non è ciò che pensano, invece, molti altri che abbiamo ascoltato viaggiando tra le voci del movimento, molte delle quali ritengono che il tema non faccia più parte dell’agenda di molte associazioni.
In assenza di girotondi, veglie, fiaccolate, marce che cosa ci dobbiamo attendere? Una ritirata disarmata dei pacifisti, con l’ammaina bandiera? O una trasformazione radicale del movimento, in una grande lobby capace di usare le piazze virtuali per ottenere ascolto nelle stanze del potere romano? È ciò che abbiamo chiesto agli interlocutori di questa bussola, che cerca di colmare un dibattito pubblico orfano dei temi sulla pace.
Le domande
Quelle che Nigrizia si è posta prima di affrontare questo viaggio nel movimento pacifista
- Quali sono le ragioni che impediscono ai movimenti di dotarsi di un’agenda comune? Cosa impedisce il ritorno a un unico movimento? Personalismi/protagonismi, divergenze sulle priorità dell’agenda, la mancanza di una struttura permanente di confronto e di progettazione comune?
- L’advocacy, il lobbismo sono più funzionali a ottenere risultati delle piazze e delle manifestazioni?
- Un movimento della pace ben attrezzato si sarebbe già mobilitato per impedire che la legge 185 del 1990 venga cambiata. Il ministro Giorgetti si è già espresso in tal senso e in parlamento c’è chi lo asseconda. È la conferma di un pacifismo moribondo?
- La marcia della pace Perugia-Assisi è stata un momento simbolo dell’aggregazione e del dialogo tra i movimenti. Di anno in anno è diventata un evento di pura e astratta testimonianza. Troppo autoreferenziale? Le critiche alla gestione, da cui è nata la separazione con la Rete, hanno contribuito a dividere il movimento e a rendere marginale la marcia?
- L’ultima grande manifestazione con bandiere arcobaleno a sventolare a migliaia è stata forse l’Arena di pace e disarmo del 25 aprile 2014 che si è tenuta a Verona. Si è insistito parecchio sul disarmo. Che cosa è rimasto dei buoni propositi di allora?
Di seguito gli incipit delle risposte, disponibili in integrale, abbonandosi a Nigrizia:
L’unità si fa con un’agenda concreta di Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo
Troppi orticelli di Angelo Baracca, fisico, impegnato nei movimenti ecopacifisti e antinucleari
Cura è il nome della pace oggi di Flavio Lotti, coordinatore della marcia Perugia-Assisi
Passi avanti e indietro, altre letture della crisi