Lo sviluppo storico e l’applicazione della legge islamica (shari’a) in Africa subsahariana ha assunto modalità molto diverse tra un paese e l’altro. Somalia e Senegal, nazioni sulle coste oceaniche opposte del continente, ad esempio, hanno una popolazione a maggioranza musulmana, eppure nel primo la shari’a è perseguita, mentre nel secondo non è stata mai ufficialmente introdotta.
Altre nazioni, invece, hanno optato per una via di mezzo, applicandola a seconda dei casi. Per chi non è musulmano, spesso la legge islamica è associata a punizioni feroci, intolleranza e rigida osservanza di precetti morali intoccabili, soprattutto riguardo alla donna.
In Africa a sud del Sahara, tuttavia, gli esperti concordano nell’affermare che la realtà è alquanto complicata. La shari’a in sostanza consiste in un sistema di doveri e regole che governano ogni aspetto della vita di un musulmano, dal comportamento privato e pubblico, alle pratiche religiose e a quanto concerne vita di famiglia e affari.
Le regole islamiche incluse nella shari’a derivano da due fonti: il Corano, libro sacro, e la Sunnah, che raccoglie gli Hadith, gli scritti che riportano detti ed eventi legati al profeta Maometto. I regolamenti dettagliati dell’islam derivano soprattutto dall’interpretazione della shari’a, che viene intesa – come accennato – in modi diversi a seconda dei paesi.
Non si può quindi offrire un quadro univoco sulla sua applicazione concreta. Paesi come la Mauritania e la Somalia hanno, ad esempio, inserito la shari’a nelle rispettive Costituzioni. Quella somala, sancita nel 2012, afferma: “Non è possibile porre in atto alcuna legge che contravvenga ai principi generali della shari’a”.
Ciò non significa necessariamente che la shari’a somala sia da considerarsi uguale a quella di stati islamici quali Iran o Arabia Saudita che la seguono in modo radicale. Al contrario, in Somalia esiste una sorta sincretismo per cui, parallela alla shari’a, vige una legge chiamata Xeer, che incarna un sistema giuridico tradizionale.
Un rapporto sulla Somalia riguardante il sistema della giustizia, presentato nel 2020 dall’Usaid (l’Organizzazione statunitense per gli aiuti internazionali) afferma che non esistono di fatto istituzioni ufficiali legate alla shari’a, e che la legge islamica nel paese del Corno d’Africa ricopre sostanzialmente un compito informale.
Nazioni islamiche ‘laiche’
In realtà, molti paesi subsahariani a maggioranza musulmana, dopo l’indipendenza hanno adottato sistemi giuridici laici (secolari). In certi casi a questi sistemi si affiancavano tribunali islamici la cui giurisdizione si limitava tuttavia a trattare casi individuali, coprendo temi legati a matrimonio, divorzio, eredità e tutela.
In Kenya, ad esempio, il sistema legislativo permette a un musulmano di presentare le proprie istanze al tribunale della kadhi (shari’a). In Gambia e in Uganda è presente lo stesso sistema. In altri due paesi del sub-Sahara, Senegal e Burkina Faso, benché la maggioranza degli abitanti sia di religione musulmana, operano sistemi legislativi laici che non hanno legame alcuno con la shari’a.
Laddove le regole della shari’a vengono seguite pedissequamente, comunque, è noto che vengono eseguite punizioni disumane per crimini definiti tali nella legge. Reati come rapine, apostasia, consumo di alcol, relazioni extra matrimoniali o omosessuali, possono essere puniti con amputazioni, nerbate, fustigazioni e perfino con l’uccisione tramite lapidazione.
Va ribadito, tuttavia, che quasi nessuna nazione in Africa subsahariana, persegua o no la legge islamica, pone in atto tali pene. La Nigeria è l’unico stato in cui una corte di giustizia islamica del nord, nel 2020, emise una sentenza di morte, contro il musicista Yahaya Sharif-Aminu, per dichiarazioni blasfeme contro il profeta Maometto; una decisione bloccata lo scorso anno in appello, con l’ordine che il processo venisse ripetuto.
Tra i paesi più assidui nell’uso della shari’a e nell’applicare le pene da essa previste, va segnalato il Sudan, specie al tempo di Omar al-Bashir, deposto nel 2019. Nel 2020, dopo la sua caduta, il governo di transizione aveva abolito varie leggi basate sulla shari’a, aveva rimosso la pena di morte nei casi di relazioni omosessuali, aveva cancellato l’accusa di apostasia con relative pene ad essa legate e aveva abolito l’impiego della frusta.
Purtroppo però, in alcune zone del paese la versione più dura della shari’a viene ancora applicata, come accaduto di recente nello stato del Nilo Bianco nei confronti di una giovane donna condannata a morte per lapidazione perché accusata di adulterio.
Associazioni che promuovono i diritti delle donne sottolineano che la shari’a è ingiusta soprattutto verso di loro. In diverse parti, infatti, la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo. Inoltre, le donne ereditano in genere quote inferiori rispetto ai maschi della famiglia e una ragazza, in caso di morte del padre, ha il diritto solo a metà di quanto eredita invece un fratello.
In Tunisia e altri paesi, dove la società si è già maggiormente evoluta, tale clausola è stata abolita. Va pertanto sottolineato che omologare frettolosamente l’uso della legge islamica come se in Africa esistesse una sola modalità nella sua pratica non fa giustizia della complessità di questo aspetto della religione islamica.