C’è anche l’Africa in quel vaso di Pandora scoperchiato dai Pandora Papers. Anzi africani. I cui beni finanziari si sono persi nel corso degli anni in quegli enormi buchi neri che sono i paradisi fiscali. Segreti che oggi non sono più tali grazie al complesso e lungo lavoro del Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (International Consortium of Investigative Journalists – Icij) che ha lavorato su un altro grande tesoro (non in denaro in questo caso, ma costituito da “carte” preziose) fatto di 12 milioni di documenti riservati.
Sono circa 50 i politici e funzionari pubblici di 18 paesi africani di cui sono risultati collegamenti con entità offshore. Tra questi molti nomi di rilievo. Eccoli: Uhuru Kenyatta, presidente del Kenya; Denis Sassou Nguesso, presidente della Repubblica del Congo; Ali Bongo Ondimba, presidente del Gabon; Patrick Achi, primo ministro della Costa d’Avorio; Jim Muhwezi, ministro della sicurezza in Uganda; Aires Ali, ex primo ministro del Mozambico.
La dinastia Kenyatta
Secondo i documenti analizzati dai giornalisti investigativi, la famiglia Kenyatta avrebbe accumulato segretamente una vera e propria fortuna personale attraverso aziende off-shore. Beni per un valore di oltre 30 milioni di dollari, celati al controllo pubblico attraverso fondazioni e società nei paradisi fiscali a Panama e nelle Isole Vergini britanniche. Madre, sorella, fratello, in tutto sette membri della famiglia del presidente sarebbero collegati a 13 compagnie off-shore.
Una lunga catena di soldi e di imbrogli per arricchire chi doveva invece operare per la crescita e il benessere del proprio paese. “La storia della fortuna della famiglia Kenyatta, con le sue varie società e fondazioni nei paradisi fiscali, inizia con un ambizioso rampollo che sarebbe diventato uno dei leader più iconici dell’Africa post-coloniale: Jomo Kenyatta” si legge nella lunga analisi investigativa che ricostruisce l’ascesa della potente famiglia e il suo declino morale verso abusi e arricchimenti illeciti.
Nel documento si ricorda che negli ultimi anni il presidente Kenyatta si era creato un’immagine di vigoroso riformatore anticorruzione (per esempio durante le elezioni del 2017). Lo scorso autunno, durante il discorso annuale sullo stato della nazione, Uhuru Kenyatta dal podio del parlamento aveva affermato che troppi kenyani vivono in povertà e troppi funzionari depredano le risorse pubbliche del paese. Ma queste cose alle banche off-shore importavano poco. Lui, per i consulenti svizzeri che hanno aiutato il potente leader e la sua famiglia a incanalare la ricchezza nei paradisi fiscali, era semplicemente il “Cliente 13173″.
I “soliti noti”
Veniamo al presidente Denis Sassou-Nguesso, che secondo l’indagine possedeva una società che controllava le miniere di diamanti in Congo che, come si sa – e come sottolinea l’inchiesta – sono tra i beni più preziosi del paese. Ex capo militare, Sassou-Nguesso ha rivestito il ruolo di presidente della Repubblica del Congo per oltre metà della sua vita. A cominciare dal 1979 al 1992, quando era stato estromesso dopo le prime elezioni multipartitiche del paese. Riprese poi il potere nel 1997 dopo una sanguinosa guerra civile ed è rimasto da allora leader del paese.
Come afferma l’analisi “presiede un governo repressivo e l’uso della tortura da parte della polizia è ben documentato”. Sassou-Nguesso e i membri della sua famiglia sono stati indagati in Francia e negli Stati Uniti per accuse di violazioni dei diritti umani e corruzione, inclusa l’appropriazione indebita di milioni di dollari. Un paese ricco anche di petrolio. Secondo l’Icjj, le proprietà di Sassou Nguesso sono state “protette” da società con sede nelle Isole Vergini britanniche.
Anche Ali Bongo Ondimba, presidente del Gabon, si avvaleva di società di comodo nelle Isole Vergini britanniche. Eletto presidente nel 2009 è stato poi rieletto nel 2016 tra violenze e accuse di frode. In precedenza aveva ricoperto il ruolo di ministro degli esteri e della difesa. Suo padre, Omar Bongo, aveva precedentemente governato questo paese dell’Africa centrale per più di 40 anni. Una famiglia al potere da decenni e accusata a più riprese di saccheggio delle casse dello Stato. Un paese che non ha mai brillato per l’integrità dei suoi leader, per trasparenza e rispetto dei diritti umani.
Premier e ministri rampanti
Dai documenti emerge anche il nome dell’ex primo ministro del Mozambico Aires Ali. Meno di un mese prima di lasciare la carica di primo ministro nel 2012, Aires Ali avrebbe utilizzato una società di consulenza fiscale svizzera per creare una società di comodo alle Seychelles.
Altro politico coinvolto nel sistema di evasione fiscale è il ministro ugandese della sicurezza Jim Muhwezi. Muhwezi, che ha anche un rapporto di parentela con il presidente Yoweri Museveni, possedeva e deteneva quote di due società di comodo, una costituita nelle Isole Vergini britanniche e un’altra creata a Cipro.
Tra i file dei Pandora Papers anche il nome del primo ministro della Costa d’Avorio Patrick Achi. Secondo i documenti trapelati, Achi divenne proprietario di una società con sede alle Bahamas dal 1998, quando era consigliere del ministro dell’energia. L’ufficio del primo ministro non ha perso tempo a rilasciare una dichiarazione.
In un comunicato ufficiale si afferma che la società – che poi smise di esistere nel 2006 – era stata registrata “con tutte le formalità di legge” e che all’epoca “Patrick Achi non aveva alcun impegno politico o alcuna funzione pubblica, istituzionale o di gabinetto”. Nella nota si afferma inoltre che “la società non è mai stata utilizzata come mezzo per la minima evasione fiscale, la minima transazione illecita, la minima appropriazione indebita di fondi pubblici, la minima attività illegale”.
C’è da dire che la replica del primo ministro ivoriano è l’unica che sia arrivata dopo le rivelazioni del Icij che – ricordiamo – impegna oltre 600 giornalisti in 117 paesi e territori.
Alla Nigeria il record negativo
E tra i documenti un numero davvero consistente riguarda la Nigeria. Almeno 10 i leader politici e istituzionali coinvolti nello scandalo. A cominciare a svelarne la trama (e i nomi) è Premium Times, partner del team investigativo.
Tra i nomi che stanno cominciando ad emergere quello di Peter Obi, ex governatore dello Stato di Anambra, nel sud est della Nigeria e, come molti altri, un acceso sostenitore del buon governo e della trasparenza negli affari pubblici. O quello di Mohammed Bello-Koko, direttore dell’Autorità portuale nigeriana, che si sarebbe nascosto – dicono gli scottanti file esaminati dai giornalisti investigativi – dietro due società di comodo costituite in un paradiso fiscale e segreto per investire in modo anonimo nel mercato immobiliare del Regno Unito.
Dai documenti risulta, inoltre, che negli ultimi tre decenni, almeno 233 proprietà sono state acquistate da 166 società offshore per un valore complessivo oggi di 350 milioni di sterline. E dietro queste aziende ci sono 137 nigeriani influenti. La maggior parte di tali acquisti è avvenuta tra il 2010 e il 2015, quando presidente della Nigeria era Goodluck Jonathan. Il suo governo è stato accusato di aver permesso alla corruzione di dilagare, ma lui ha sempre negato qualsiasi illecito.
Tra gli altri nomi noti coinvolti, anche quello di Stella Oduah, ministro dell’aviazione tra il 2011 e il 2014 quando – paradossalmente – è stata accusata di corruzione e licenziata dal governo federale. Oduah, ora senatrice, avrebbe acquisito segretamente quattro proprietà londinesi, nascondendosi dietro una società anonima.
Va ricordato che Pandora Papers arriva più di cinque anni dopo le rivelazioni dei Panama Papers, pubblicate nel 2016. Un’indagine che rivelò società offshore legate a più di 140 politici in più di 50 paesi, inclusi 14 leader mondiali. E naturalmente l’Africa non mancava. La domanda è: come mai questi reati finanziari sono continuati? Come mai così tante persone influenti che hanno in mano il destino dei loro paesi hanno continuato ad arricchirsi in modo illecito?