Nel messaggio pasquale congiunto che papa Francesco, l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby, e il Moderatore della Chiesa di Scozia, Jim Wallace, avevano inviato ai leader politici del Sud Sudan, si leggeva: “Un nuovo cammino è possibile, una strada di perdono e libertà, che ci rende umili per vedere Dio negli altri, perfino nei nostri nemici”. E concludevano: “…In attesa del nostro Pellegrinaggio di Pace nell’estate prossima, si consolida il nostro desiderio di visitare il vostro grande paese”.
Si avvicina il giorno del viaggio ecumenico in Sud Sudan e nell’udienza tenutasi lo scorso 13 maggio a Roma tra papa Francesco, il primate della Comunione anglicana e il moderatore della Chiesa di Scozia, membri della Commissione internazionale anglicano-cattolica romana (Arcic), è stata ribadita la comune volontà di essere in questo viaggio promotori di riconciliazione e di pace.
Dopo l’inizio dei colloqui, nel suo messaggio, Francesco invitava tutti a proseguire il cammino comune verso una futura unità tra le chiese, e a «lasciare alle spalle ciò che compromette la comunione e ad accrescere i legami che uniscono cattolici e anglicani».
Il papa aggiungeva, riferendosi all’arcivescovo Welby e al Moderatore della chiesa Wallace: «Questi due cari fratelli, saranno i miei compagni di viaggio quando, tra poche settimane, potremo finalmente recarci in Sud Sudan. Sarà un pellegrinaggio ecumenico di pace. Preghiamo affinché ispiri i cristiani del Sud Sudan e del mondo a essere promotori di riconciliazione, tessitori di concordia, capaci di dire no alla perversa e inutile spirale della violenza e delle armi».
In spirito ecumenico, il papa ha sottolineato che i peccati che hanno portato a divisioni storiche «possono essere superati solo nell’umiltà e nella verità, iniziando a provare dolore per le ferite reciproche e sentendo il bisogno di dare e ricevere il perdono». Se da un lato il dialogo sui rapporti tra le chiese è stato al centro dell’udienza, nelle parole di Francesco si percepisce la sua sollecitudine affinché il conflitto tuttora non completamente risolto in Sud Sudan giunga ad un sbocco positivo.
E il senso del dialogo di cui ha parlato il papa, parafrasandolo, può riferirsi ad ogni situazione umana ed ecclesiale. «Il dialogo ecumenico è un cammino – ha affermato – è molto più, cioè, che parlare insieme. Significa fare: fare, non solo parlare. Fare. Si tratta di conoscerci di persona, di condividere traguardi e stanchezze, di sporcarci le mani soccorrendo insieme i fratelli e le sorelle feriti che giacciono scartati ai bordi delle strade del mondo, di contemplare con un unico sguardo e custodire con il medesimo impegno il creato che ci circonda, di incoraggiarci nelle fatiche della marcia».
E proseguendo a braccio il suo intervento, il pontefice aggiungeva che non si deve cadere nella schiavitù del conflitto, perché la strada dell’unità è superiore al conflitto. La crisi – secondo Francesco – in sé è buona, e si deve distinguere «tra crisi e conflitto». La crisi, se non sconfina nel conflitto, offre uno spazio aperto per risolvere le controversie e aiuta a superare le divisioni.
La speranza dei leader ecclesiali che insieme saranno pellegrini nella Rd Congo e in Sud Sudan (rispettivamente dal 2 al 5 e dal 5 al 7 luglio) è che si aprano davvero cammini di pace, come già auspicato nel messaggio pasquale menzionato: “Questo cammino conduce a una nuova vita, sia per noi come individui, sia per coloro di cui siamo guida. La nostra preghiera è che voi percorriate di nuovo questa via – dichiaravano allora i tre leader religiosi – in modo da discernere nuove strade tra le sfide e le lotte di questo tempo”.