Il Niger esempio di democrazia? Si potrebbe rispondere positivamente. Un presidente, Mahamadou Issoufou (68 anni), che al termine del suo doppio mandato (10 anni) si piega alla Costituzione cosciente che il vento dell’alternanza soffia non solo sul Niger ma su tutta l’Africa, si mette dunque da parte e lascia che i nigerini scelgano in elezioni libere e trasparenti l’uomo che li guiderà nei prossimi 5 anni.
Il suo delfino, Mohammed Bazoum (60 anni), candidato del Partito nigerino per la democrazia e il socialismo (Pnds), il partito del presidente, suo primo collaboratore da trent’anni a questa parte, deputato in 5 legislature e ministro diverse volte (degli esteri e dell’interno), e annunciato quindi dalla maggioranza come capace di vincere alla grande al primo turno, è costretto al ballottaggio da Mahamane Ousmane (70 anni), del partito Rinnovamento democratico e repubblicano (Rdr-Tchanji).
Tutto ciò al termine di elezioni che gli osservatori dell’Unione africana sul territorio riconoscono essersi svolte con una partecipazione entusiasta degli elettori e nella calma, nonostante alcune disfunzioni che però non mettono in discussione il doppio scrutinio (presidenziali e legislative) di domenica 27 dicembre: ritardi nell’apertura di alcuni seggi e la formazione a volte insufficiente del personale, come i delegati dei partiti. Insomma elezioni libere, eque e trasparenti, il che non è poca cosa per delle elezioni in un paese africano.
Il 21 febbraio dunque, si andrà al ballottaggio. I due contendenti sono entrambi originari della regione di Zinder, nell’est del paese. Primo presidente democraticamente eletto nel 1993, Mahamane Ousmane è una vecchia figura della politica nigerina, con una forte base elettorale a Zinder. Indebolito politicamente da una coabitazione, veniva rovesciato nel 1999 dal colonnello Ibrahim Baré Mainassara.
Il risultato del ballottaggio, aperto a ogni evenienza, dipenderà da quali alleanze i due contendenti riusciranno a comporre con gli “sconfitti” (ben 28!) delle elezioni. Benché il favorito rimanga Mohammed Bazoum, non è detto che alla fine non sia Ousmane a imporsi.
Anche perché il paese rimane caratterizzato da importanti sfide: una grande povertà, una corruzione molto diffusa, una libertà di stampa che vede i giornalisti minacciati. E soprattutto in preda ad attacchi jihadisti.
L’insicurezza che regna nel paese ha avuto una terribile conferma nel massacro (si parla di 100 morti) avvenuto praticamente in contemporanea con l’annuncio dei risultati delle presidenziali e legislative comunicati dalla Commissione elettorale, nei due villaggi di Tchombangou (70 morti) e Zaroumdareye (30) a 120 km dalla capitale Niamey, nel dipartimento di Ouallam, regione di Tillabéry, nell’ovest del paese, zona di frontiera con il Mali e il Burkina Faso.
Il raid sarebbe una vendetta per la morte di due simpatizzanti jihadisti uccisi dai gruppi di autodifesa di villaggio. Questa zona detta delle “tre frontiere” è regolare bersaglio di attacchi jihadisti. Chiunque vincerà al ballottaggio, dovrà affrontare la sfida di un jihadismo che dal 2010 ha provocato centinaia di morti e 500 mila sfollati e rifugiati (queste le cifre dell’Onu).
Domenica 27 dicembre gli elettori erano chiamati anche al rinnovo del parlamento. I nigerini hanno eletto 166 deputati dell’Assemblea nazionale (il parlamento) in un turno alla proporzionale. Il Pnds, partito al potere, ottiene 80 seggi, seguito da Moden fa lumana Africa (Movimento democratico nigerino per una federazione africana), con 19 seggi, il partito di Hama Amadou. Per governare bisognerà quindi costruire delle alleanze con una opposizione abbastanza frammentata.
Una nota al femminile per concludere: il 55% degli elettori iscritti nelle liste (7 milioni e mezzo) sono donne. Che ora hanno di certo il diritto di reclamare agli eletti qualcosa di più in loro favore.