Il 17 gennaio 1961, il 35enne statista fu fucilato nel Congo sudorientale durante i primi, caotici mesi dell’indipendenza. Il suo corpo, sciolto nell’acido, non è mai stato trovato.
Da impiegato postale a primo ministro del Congo indipendente, Patrice Lumumba è considerato un eroe africano che fece della lotta contro il colonialismo un obiettivo di vita. E che per questo fu eliminato.
Eletto democraticamente, aveva avuto il coraggio di dire in faccia a re Baldovino, proprio il giorno dell’indipendenza, che il Belgio aveva schiavizzato e oppresso il Congo. Non solo: aveva ordinato ai militari belgi di lasciare il paese.
Il mandante dell’omicidio è il Belgio, interessato a mantenere i suoi interessi minerari nel paese. L’esecuzione è affidata al colonnello Mobutu, uomo legato ai Belgi e agli Usa, che s’impadronì del potere con un colpo di stato e che poi governò fino al 1996, portando il paese allo sfascio.
L’arresto di Lumumba, da parte degli uomini di Mobutu, avviene il 6 gennaio del 1961 a Port Francqui nel Kasai. E avviene davanti ai caschi blu dell’Onu, che non intervengono per espresso ordine del loro superiore, il generale svedese Carl Van Horn. A questo punto Bruxelles, decide di consegnare Lumumba ai secessionisti del Katanga, avversari dell’uomo politico.
Nel viaggio tra Thysville e Elisabethville (oggi Lumumbashi), Lumumba e due suoi compagni, Maurice Polo e Joseph Okito, vengono uccisi dopo essere stati massacrati di botte. Secondo quanto riportato dal libro L’assassinio di Lumumba del sociologo Ludo de Witte, pubblicato nel 1999, degli ufficiali belgi furono coinvolti in tutte le fasi dell’omicidio.
Quello che è certo è che, con Lumumba vivo, la storia della Repubblica democratica del Congo indipendente sarebbe stata un’altra storia.
In un video l’attivista italo-congolese John Mpaliza ne ripercorre gli ideali.