Patto Italia Albania: l’Europa divisa va verso un accordo sui rimpatri
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Primo intoppo dello sbarco selettivo. Iniziano le manifestazioni fuori dal centro di detenzione albanese
Patto Italia Albania: l’Europa divisa va verso un accordo sui rimpatri
Intanto soffia sull’Europa un vento conservatore che peserà sul vertice europeo
17 Ottobre 2024
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 5 minuti
Sit-in di attivisti albanesi al porto di Shengjin all'arrivo della prima nave italiana (Credit: @BalkanInsight su X)

È andata come era prevedibile: lo sbarco selettivo in Albania non ha funzionato. Difficile, con un tempo a orologeria, decidere chi è vulnerabile, stabilire chi è minore. Ma intanto li si invia, che il protocollo deve partire, poi si vedrà.

E così si è visto che i due ragazzi che si dichiaravano minorenni devono tornare indietro, per avere lo screening che attesti la loro età, come prevede la legge Zampa, “in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare”; che gli altri due uomini erano per davvero fragili.

E così 4 rientrano, un traghettamento inutilmente doloroso, per chi ha già di per sé la fragilità di un viaggio e di tutta una storia dietro.

Per gli altri 12 si aspetta la conferma del fermo. Con il punto interrogativo della sentenza del 4 ottobre da parte della Corte di giustizia europea, che non considera sicuri né Bangladesh né Egitto, i paesi da cui provengono i primi 16 deportati verso l’Albania.

Poi, per chi rimane, iniziano le 4 settimane in attesa di giudizio, con tutti i punti di domanda che permangono sull’accesso all’avvocato, ai mediatori culturali e linguistici.

Se si ha diritto si tornerà in Italia e finirà la reclusione nella enclave italiana in terra d’Albania, in caso contrario scatterà il rimpatrio. In teoria, perché la realtà dei dati ci racconta che in tutta l’Unione Europea solo un extracomunitario su quattro viene effettivamente rimpatriato dopo ordine di espulsione. E l’Italia è fanalino di coda.

Intanto però in terra d’Albania c’è chi si domanda se tutto questo abbia un senso e soprattutto un supporto di diritto. Fuori dal centro delle baraccopoli in alluminio iniziano le manifestazioni di protesta.

Forse, tra chi espone un lenzuolo dove è scritto “the european dream ends here”, c’è chi ha una memoria migrante più forte di quella italica e ricorda quando le navi stracolme, nei primi anni Novanta, erano quelle albanesi verso l’Italia. O forse, semplicemente, si ha presente un diritto.

Il vertice europeo guarda verso l’Italia?

Intanto però c’è il vertice europeo che tra i punti in esame ha quello migratorio. Con l’appoggio di Ursula von der Leyen che ha esplicitamente dichiarato che “con l’inizio delle operazioni del protocollo tra Italia e Albania, potremo trarre lezioni da questa esperienza nella pratica”.

Tornando così a essere lodata da chi aveva scelto di votare contro la sua riconfermata presidente della Commissione europea, dopo averci fatto diversi viaggi in Africa in un connubio di intenti di esternalizzazione delle frontiere.

D’altra parte il vento che soffia sull’Europa è un vento conservatore che peserà sul vertice europeo che vede diversi governi di centrodestra interessati al protocollo italo-albanese. Che vi sia una stretta condivisa è palese, basti vedere la politica ai confini.

Austria, Ungheria, Slovenia, Svezia e Danimarca sono stati tra i paesi a usare le migrazioni come strumento per reintrodurre controlli temporanei alle loro frontiere e far saltare Schengen. A questi si è accodata la Germania.

E tutto questo nonostante l’ultimo report di Frontex abbia dimostrato un calo: nei primi nove mesi di quest’anno, secondo l’agenzia di frontiera, il numero di attraversamenti cosiddetti irregolari tra i confini dell’Unione Europea è diminuito del 42%, attestandosi a 166mila unità.

Un dato che fa il paio con quello italiano sugli sbarchi. Da qui l’interrogativo sulla necessità di portare avanti una politica ancora più repressiva e di per sé piena di inciampi legali.

E infatti iniziano i distinguo.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz non è convinto del protocollo italo-albanese, si possono assorbire “pochissime piccole gocce, se si guardano i numeri, non sono però realmente la soluzione per un paese grande come la Germania” afferma, aggiungendo come l’Europa abbia bisogno di “espulsioni conformi al diritto europeo”.

Un’idea ripresa anche dalla Grecia che vuole favorire “una soluzione europea” perché “gli accordi bilaterali non ci porteranno da nessuna parte”.

Considerazione non difforme da quella della Spagna, dove la capogruppo dei Socialisti e democratici, Iratxe García Perez, sottolinea l’opposizione “a qualsiasi esternalizzazione della politica di asilo o di rimpatrio, poiché ciò va contro il diritto internazionale su cui si basa il diritto dell’UE e in base al quale il diritto di asilo è protetto insieme al principio di non respingimento”.

Aggiungendo come “ogni discussione sui rimpatri deve basarsi su una proposta legislativa. Non si può discutere di hub di rimpatrio o soluzioni innovative senza una base scritta ancorata al diritto internazionale che rispetti i diritti umani e la dignità”.

Ed è su questo punto che probabilmente convergeranno i 27 paesi: su una stretta sui rimpatri. Un progetto di legge con cui si vorrebbero armonizzare le varie regole nazionali per poter facilitare le espulsioni.

Una direttiva di cui si parla da tempo, ferma al 2008, mai superata nonostante vari tentativi fatti in tutti questi anni.

Perché, come sempre scriviamo, il vero limite sono sempre gli accordi con i paesi d’origine, a cui economicamente, per via delle rimesse, conviene più che le persone provino a sbarcare il lunario in Europa, contribuendo di fatto alla vita di chi rimane.

Anche qui, se si avesse memoria migrante e si guardasse il passato, forse sarebbe più facile anche una lungimirante prospettiva politica.

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