Il 25 settembre ad Arusha, in Tanzania, di fronte alla Corte di giustizia dell’Africa orientale (EACJ) è iniziato il processo intentato dal governo della Repubblica democratica del Congo (RDC) contro il Rwanda.
Il governo di Kigali deve rispondere dell’accusa di avere violato la sovranità e l’integrità territoriale della RDC inviando proprie truppe nella regione del Nord Kivu, nell’est del paese, a supporto del gruppo ribelle M23. L’accusa ha trovato conferma, nel luglio scorso, nel responso di un’indagine condotta da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite che ha stimato nell’area la presenza di circa 3-4mila militari rwandesi.
Il processo è iniziato il giorno dopo che il presidente della RDC Felix Tshisekedi, intervenendo a New York alla 79esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva chiesto alla comunità internazionale il varo di sanzioni mirate contro il Rwanda, nonché il ritiro immediato delle sue truppe dal territorio congolese.
Nel suo intervento Tshisekedi è tornato a chiedere aiuto per gli oltre sette milioni di sfollati causati dai combattimenti in corso nell’est del paese. Le accuse della RDC sono sostenute da Stati Uniti e Francia, e lo stesso Consiglio di sicurezza dell’ONU ha recentemente intimato la fine del sostegno militare all’M23, senza però fare riferimento a un coinvolgimento diretto del Rwanda.
Formalmente appaiono dunque molti gli elementi a favore della RDC nell’ennesima disputa con il Kigali. Di fatto, però, come segnalato da un esperto di diritto dell’Africa orientale sentito dalla piattaforma indipendente SOS Média Burundi, la Corte di giustizia dell’Africa orientale avrà molte difficoltà a pronunciarsi su questo caso.
Ciò perché, ha spiegato la fonte, i giudici sono nominati dai presidenti dei paesi che compongono l’EACJ, ed è dunque a loro che rispondo per primi. La previsione, dunque, è che il processo farà rumore per un certo periodo, ma non porterà a nulla di concreto. È già successo, nel 2015 e nel 2020, nei processi che hanno visto contrapposti Rwanda e Uganda, e Rwanda e Burundi.
Partita tra spie tra RDC e Rwanda
Nell’est della RDC, nonostante un cessate il fuoco formalmente in vigore dal 4 agosto, proseguono gli scontri armati. Africa Intelligence ha dato notizia dell’avvio di una nuova operazione militare da parte di Kinshasa dopo che sono saltati gli ultimi tentativi di negoziato.
Obiettivo della RDC è colpire i vertici dell’M23 e delle FDLR (Forze Democratiche per la liberazione del Rwanda), a cominciare dal capo del suo braccio armato FOCA (Forces Combattantes Abacunguzi) Pacifique Ntawunguka.
Gli ultimi tentativi di negoziato portati avanti dai vertici dei servizi segreti di RDC e Rwanda, con la mediazione dell’Angola e del direttore generale dei suoi servizi esterni (Serviço de Inteligência Externa) Matias Bertino Matondo, non sono andati a buon fine.
Per Kinshasa a condurre le trattative è stato il capo dell’intelligence militare Christian Ndaywel. In carica dalla fine del 2022, Ndaywel è una figura alquanto controversa. Il generale è infatti stato accusato di essere dietro l’uccisione, avvenuta nel luglio del 2023, dell’ex ministro dei Trasporti congolese Chérubin Okende, portavoce della forza politica di opposizione Ensemble pour la Republique.
Oltre che tentare un dialogo con la controparte rwuandese, al generale Ndaywel il presidente Tshisekedi ha affidato il compito di ricompattare le varie anime dell’intelligence congolese, dilaniata da mesi da lotte intestine dopo che François Beya Kasonga, ex capo del CNS (Consiglio Nazionale della Sicurezza) e consigliere per la sicurezza del presidente, è stato licenziato all’inizio del 2022.
Come era prevedibile la destituzione di Kasonga, uomo buono per tutte le stagioni in Congo, considerato che era in servizio dai tempi di Mobutu (presidente dello Zaire dal 1965 al 1997), ha destabilizzato i servizi congolesi, già alle prese da anni con l’esternalizzazione di incarichi ad agenzie di sicurezza straniere, non ultima la sicurezza personale del presidente Tshisekedi, affidata a una compagnia israeliana.
Ndaywel è stato scelto per ristabilire ordine e gerarchie all’interno dei servizi soprattutto per le conoscenze personali che può vantare.
Ha rapporti diretti con il consigliere privato del presidente, Kahumbu Mandungu Bula, e legami di lunga data con l’attuale capo della ANR (Agence Nationale de Renseignement, che si occupa sia dei servizi interni che esterni) Justin Inzun Kakiak. Questi due elementi gli hanno permesso di ricompattare i vertici generali dell’intelligence, almeno per il momento.
Nell’ultima tornata di negoziati con i servizi rwandesi è stato Kakiak a guidare le trattative a Goma, lo scorso 19 agosto. In quell’occasione Kakiak ha denunciato l’occupazione di città e villaggi nel territorio di Rutshuru, nel Nord Kivu, da parte dell’M23, impegnandosi a collaborare con il vicesegretario generale del NISS rwandese (National Intelligence and Security Agency) Jean Paul Nyirubutama, per ottenere un contatto con i leader ribelli.
Il 30 agosto a Rubavu, distretto della Provincia Occidentale del Rwanda, i servizi di RDC e Rwanda hanno raggiunto un accordo per neutralizzare le FDLR e ritirare le forze rwandesi dal territorio congolese. Ma a Luanda, dove si sono poi incontrati i ministeri degli Esteri di Kigali e Kinshasa, Olivier Nduhungirehe e Thérèse Kayikwamba Wagner, l’accordo non è stato ratificato.
Come in passato, alla fine le accuse reciproche hanno prevalso sulla possibilità di arrivare a un compromesso. Il Rwanda sostiene che le FARDC (Forze armate della Repubblica democratica del Congo), in combutta con compagnie private, operino per rovesciare il governo di Kigali, e mette in dubbio la stessa lealtà del capo dei negoziatori di Kinshasa Ndaywel.
La RDC denuncia il supporto, confermato anche dall’ONU, dato dalle truppe rwandesi all’M23 anche attraverso l’invio di droni.
Dal campo interno la questione torna dunque alla comunità internazionale. Ma difficilmente Nazioni Unite e Corte di giustizia dell’Africa orientale la smuoveranno dallo stallo.