1.153. È il numero delle persone giustiziate nel 2023 nel mondo, in seguito a condanne alla pena capitale. Un conteggio da cui resta fuori la Cina che non fornisce dati, ma dove si ritiene siano state eseguite altre migliaia di condanne.
A rilevarlo è l’annuale rapporto di Amnesty International sulla pena di morte che segnala, a livello globale, un aumento del 31% rispetto al 2022 (quando erano state 883) e il più alto numero di esecuzioni dal 2015.
Una crescita dovuta essenzialmente all’Iran, che da solo ha giustiziato ben 853 persone, quasi il 50% in più rispetto all’anno precedente, seguito dall’Arabia Saudita con 172. Insieme i due paesi raggruppano l’89% delle esecuzioni eseguite.
Amnesty fa notare anche la crescita del 20% delle condanne a morte emesse: 2.428.
In Africa questo tipo di sentenze sono state pronunciate in 14 paesi, 2 in meno rispetto al 2022, ma anche qui si è registrato un notevole aumento (+66%), per un totale di 494, la metà delle quali (246) in Nigeria. Un numero più che triplicato nel paese rispetto alle 77 dell’anno precedente.
L’organizzazione per i diritti umani fa notare però che in centinaia di casi le condanne a morte sono state commutate nel carcere a vita o non sono state eseguite.
Ciò nonostante anche a livello continentale le esecuzioni sono più che triplicate rispetto al 2022. Un’impennata ascrivibile unicamente alla Somalia, il solo paese dell’Africa subsahariana ad avere eseguito le condanne: ben 38 lo scorso anno.
L’altro unico stato africano ad aver giustiziato dei condannati è l’Egitto, dove si è registrato però un drastico calo: da 24 persone uccise nel 2022, a 8 nel 2023.
Il report segnala poi i passi avanti verso l’abolizione compiuti da Ghana, Kenya, Liberia e Zimbabwe. Preoccupa invece la recente revoca della moratoria sulla pena di morte, annunciata dalla Repubblica democratica del Congo.