Nel corso degli ultimi decenni Sudan ed Eritrea hanno avuto relazioni diplomatiche altalenanti e complesse. I due governi in alcuni periodi hanno dato fiato alle reciproche opposizioni armate, in altri hanno operato in sinergia per rafforzare le rispettive forze di governo.
Grandemente interessate dalle interferenze incrociate le regioni del Sudan orientale che condividono con l’Eritrea un confine lungo poco meno di 700 chilometri, che corre per lo più in zone desertiche e impervie, a cavallo del quale sono stanziate comunità nomadi e seminomadi di cui è spesso difficile determinare la cittadinanza. Comunità, in genere, più fedeli a sé stesse, alla loro storia e cultura, che ai governi dei due paesi in cui risiedono o si spostano.
In questo momento particolarmente critico della sua storia, il Sudan, o meglio il governo militare di fatto di una parte del paese, operante da Port Sudan, capitale dello stato del Mar Rosso e città principale della regione orientale, sembra richiedere il supporto di Asmara per condurre la guerra contro le milizie delle Forze di supporto rapido (RSF) che controllano l’altra parte, anche a costo di provocare reazioni nella zona.
Milizie sudanesi addestrate in Eritrea
I rapporti tra Port Sudan e Asmara sembrano diventare sempre più stretti in questo periodo. I colloqui tra le leadership sono continui. L’ultimo incontro, avvenuto ad Asmara tra i due capi di governo, il generale Abdel Fattah al-Burhan e il presidente Isaias Afwerki, è del 26 novembre.
Il tema trattato, secondo una dichiarazione ufficiale del Consiglio sovrano sudanese, sarebbe stato quello di “consolidare le storiche relazioni bilaterali”. Una formula diplomatica che potrebbe nascondere qualche tensione o qualche impegno speciale richiesto al paese alleato.
Con ogni probabilità i due hanno parlato anche, e forse soprattutto, dell’argomento all’ordine del giorno in questo periodo nel Sudan orientale: i campi di addestramento militare di milizie sudanesi, allineate all’esercito (SAF), in territorio eritreo.
Se ne parla da tempo. Era gennaio quando Radio Dabanga scriveva di ben sei campi che stavano preparando miliziani sudanesi appena oltre il confine, nella regione eritrea del Gash Barka. Nell’articolo si diceva che diversi “analisti, giornalisti e ricercatori avevano messo in guardia riguardo alle tragiche conseguenze” di una simile situazione che poteva avere effetti addirittura catastrofici nel Sudan orientale.
I campi hanno proseguito nel loro lavoro e il 29 ottobre una di queste milizie, denominata Eastern Cohort (o Corps), ha comunicato di aver passato il confine e di aver dispiegato i suoi uomini nello stato di Kassala. Naturalmente la decisione è stata presa dopo una consultazione con l’esercito in cui ora sarebbe integrata, ha fatto sapere Humad Shiblalla, assistente del comandante.
I beja sul piede di guerra
La Eastern Cohort non viene dal nulla, ma sarebbe associata ad una forza di opposizione armata locale già operante, il Fronte popolare unito per la liberazione e la giustizia (United Popular Front for Liberation and Justice) che nel 2020 aveva firmato la pace di Juba tra il governo di transizione e i movimenti di opposizione armata sudanesi.
L’anno precedente, i festeggiamenti per il ritorno del suo comandante, Amin Daoud Mohamed, a Port Sudan dopo un lungo esilio avevano provocato una sommossa che aveva causato almeno 6 morti.
Si erano duramente confrontati due clan beja, la popolazione autoctona del Sudan orientale: i beni amer, sostenitori di Amin Daoud, e gli hadendoa che ritengono i beni amer cittadini eritrei e fortemente influenzati dal governo di Asmara.
Una situazione molto simile si sta verificando in questi giorni.
Sayed Ali Abu Amina Turk, segretario politico dell’Alto consiglio dei nazir beja (High Council of Beja Nazirs – nazir è un titolo che indica il capo comunitario nell’amministrazione tradizionale di alcune regioni sudanesi) ha dichiarato al Sudan Tribune: “Il dispiegamento delle forze dell’Eastern Cohort nelle nostre terre è una dichiarazione di guerra tra i beja e quelli che descrivo come opposizione eritrea”.
Ha continuato promettendo di impedire che il gruppo stabilisca una presenza militare nella sua regione. Secondo Abu Amina, quel gruppo sarebbe stato naturalizzato illegalmente durante il regime dell’allora presidente Omar El-Bashir e continuerebbe ad avere legami con l’Eritrea. La sua presenza sul territorio dello stato di Kassala costituirebbe una minaccia alla sicurezza dell’intera regione.
Milizie filo-islamiste e civili armati
In precedenza si erano insediati nelle zone rurali della regione gli uomini di un’altra milizia proveniente dai campi eritrei, il Movimento nazionale per la giustizia e lo sviluppo (National Movement for Justice and Development – NMJD), guidato da Mohammed Tahir Suleiman Betai, figlio di un membro del dissolto Partito del congresso nazionale (National Congress Party – NCP) quello al potere durante gli anni del regime islamista del deposto presidente El-Bashir.
Il proliferare di milizie armate nella zona è considerato problematico anche dalla società civile locale. Ha espresso grande preoccupazione, ad esempio, il Forum dei figli liberi di Kassala (Free Sons of Kassala Forum) un gruppo di giovani. Si dicono allarmati anche dal proliferare di armi nelle mani di civili, di cui, a loro parere, sarebbe responsabile il governo di Port Sudan e che giudicano una grave minaccia alla sicurezza e alla stabilità dell’intera regione.
Dunque nel Sudan orientale, finora in gran parte risparmiato dalla guerra che ha devastato il resto del paese, la situazione sta diventando esplosiva, fomentata soprattutto da interferenze eritree, ma anche da elementi islamisti legati al passato regime e dalla militarizzazione della popolazione civile promossa dal governo di Port Sudan.
A nessuno di questi gruppi Asmara nega un campo di addestramento in modo da essere il più efficaci possibile nell’opera di devastazione del proprio paese. Naturalmente contando sulle solide relazioni storiche con l’attuale governo sudanese: governo militare, nato da un colpo di stato che ha interrotto la transizione democratica del paese e dunque di ben dubbia legittimità.