Il Piano Mattei per l’Africa è un favore ai soliti noti? - Nigrizia
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ReCommon è entrata in possesso della nota di sintesi discussa durante la seconda riunione della Cabina di regia, tenutasi il 24 aprile a Palazzo Chigi
Il Piano Mattei per l’Africa è un favore ai soliti noti?
Nonostante le parole rassicuranti, i dettagli che emergono non fanno che confermare le preoccupazioni espresse dopo il vertice Italia-Africa di gennaio: l’unico approccio paritario è quello tra gruppi industriali italiani, che potranno beneficiare in egual maniera di fondi per i propri investimenti e di un piano per l’export
31 Maggio 2024
Articolo di Simone Ogno - ReCommon
Tempo di lettura 6 minuti

Le consultazioni della Cabina di regia si sarebbero concluse il 5 maggio. Il documento finale dovrebbe essere stato trasmesso al Parlamento per la formulazione di pareri da parte delle Commissioni. Dovrebbe esserci un decreto-legge apposito. Quando si parla di Piano Mattei per l’Africa, il condizionale è d’obbligo. La gestazione del piano prosegue così come è iniziata: proclami altisonanti, iter e contenuti sfuggenti, interessi particolari che scalpitano.

Il documento ottenuto da ReCommon riporta che “il Piano dividerà l’Africa in quadranti”, come già fecero gli imperi coloniali per spartirsela durante la Conferenza di Berlino del 1884. “Sviluppa nuovi progetti o sostiene attivamente iniziative già in corso” e auspica una crescita degli investimenti “nella produzione di energia da fonti rinnovabili e non”. D’altronde c’è chi preme affinché i giacimenti di petrolio e gas non siano trascurati dal Piano.

È quindi lecito pensare che i progetti in Algeria (pilastri agricoltura/formazione) e in Tunisia (pilastri agricoltura/energia) siano interventi di cooperazione allo sviluppo ragionati in chiave di partnership tra pubblico e privato, destinati ad accompagnare investimenti ben più ingenti nelle infrastrutture energetiche per la produzione ed export di gas/idrogeno, grazie alla strategia di investimento europea Global Gateway.

In questo caso, l’infrastruttura chiave è il SouthH2Corridor voluto da Snam, designato di recente progetto di interesse comune e di mutuo interesse (PCI/PMI) dell’UE, status che garantisce procedure autorizzative semplificate oltre che sostegno politico e finanziario da parte di Bruxelles.

Inoltre, sfruttando la nuova interconnessione elettrica sottomarina realizzata da Terna e Steg (operatore tunisino della rete elettrica e del gas), si vuole puntare alla creazione di un hub orientato all’export di energia rinnovabile dalla Tunisia verso l’Europa, nonostante il paese dipenda in maniera importante dalle importazioni di gas algerino per la produzione di energia elettrica.

In Egitto, il progetto (pilastri agricoltura/istruzione) è in capo a Bonifiche Ferraresi, partecipata da ENI al 5% e da Intesa Sanpaolo al 4%. Di recente, la società ha sottoscritto un accordo di investimenti con il gigante petrolifero italiano “con l’obiettivo di sviluppare la produzione di sementi nell’ambito non food per la filiera energetica”.

Nel documento alcune partnership sottoscritte a marzo, durante la visita istituzionale di Giorgia Meloni. Tra queste, menzione d’onore per quella tra SACE e Bank of Alexandria (Intesa Sanpaolo) per il “sostegno finanziario alla filiera italiana in progetti di sviluppo infrastrutturale”. Una relazione già al centro di molte operazioni controverse nel paese governato con il pugno di ferro dal generale al-Sisi.

Un altro elemento critico emerge dal progetto della filiera di ENI sui biocarburanti in Kenya. Il cane a sei zampe è infatti diventato beneficiario del primo contributo ufficialmente stanziato dal Fondo Italiano per il Clima, gestito da Cassa Depositi e Prestiti. Il Fondo, “che ha l’obiettivo di promuovere interventi di adattamento e contrasto al cambiamento climatico” è il fulcro delle risorse finanziarie del Piano Mattei.

In via prioritaria dovrebbe supportare interventi di mitigazione e adattamento: difficile riscontrare questi due elementi nel progetto di ENI. C’è poi l’elemento simbolico: il primo beneficiario del Fondo è una delle società che, con il suo piano di investimenti imperniato sul gas fossile, più contribuisce all’acuirsi della crisi climatica.

Discorso simile per la Repubblica del Congo, con un progetto (pilastro acqua) complementare a quello Hinda di ENI, a sua volta “complementare” delle operazioni fossili della principale multinazionale energetica italiana, come Congo LNG e Marine XII.

L’agricoltura fa da specchietto per le allodole anche in Mozambico, con il sostegno e l’ampliamento del Centro agroalimentare di Manica già finanziato dall’AICS. Al centro dei colloqui di ottobre 2023 tra Giorgia Meloni e il presidente mozambicano Filipe Nyusi non c’era l’agricoltura, ma l’energia, tanto da spingere la premier a dichiarare che il “fiore all’occhiello” della cooperazione tra Italia e Mozambico “è il settore energetico, soprattutto grazie alla presenza sul territorio dell’ENI”.

Cooperazione e società civile a margine

Se l’appetito vien mangiando, la nota di sintesi è un antipasto degno di nota, soprattutto per le PMI italiane, che possono fare leva sul fatto che il Piano Mattei sia disegnato sui piani di investimento dei “campioni” industriali italiani, a partire da quelli operanti nel comparto energetico.

Sempre più schiacciata dagli interessi privati, la partecipazione della società civile alla Cabina di regia del Piano appare come un token, un premio di consolazione, come raccontato su Popoli e Missione dalla giornalista Ilaria De Bonis in seguito a Codeway Expo, fiera internazionale dedicata al ruolo dei privati nella Cooperazione allo sviluppo.

Le cronache delle ultime settimane aggiungono infatti elementi utili per farsi un’idea ancor più chiara della questione. Per esempio, a metà maggio si è svolto a Bergamo l’Industrial Valve Summit, il più importante evento internazionale sulle tecnologie delle valvole nel settore dell’oil&gas. Intervistato da L’Eco di Bergamo, è stato il presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo Massimo Dal Checco a dichiarare che il Piano Mattei non può trascurare “i giacimenti di petrolio e gas di recente individuazione”.

E ancora il 22 maggio, a Roma, si è tenuta la seconda edizione dell’Annual International Meeting, con focus sul Piano Mattei. Promosso da Aprinternational in collaborazione con Confprofessioni, poteva contare su relatori del calibro dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, ora presidente della Fondazione MedOr, e dell’ex vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli, attualmente direttore Public Affairs di ENI.

Se Minniti ha rilevato come “in Africa giochiamo una partita importantissima, quella dell’energia”, Pistelli ha affermato che “il Piano Mattei è un metodo, uno sforzo incrementale, che individua progetti che innescano un processo”.

Sempre il 22 maggio, si è svolto il seminario “Global Gateway Ue e Settore Privato – Sfide e opportunità per il sistema Italia”, organizzato dalla Farnesina d’intesa con la Commissione europea e in collaborazione con Agenzia ICE. La coalizione europea Counter Balance definisce il Global Gateway come una strategia per “utilizzare i fondi per lo sviluppo per attirare investimenti privati nelle infrastrutture del Sud globale”.

Agenzia ICE ha rimarcato come la strategia metta a disposizione 300 miliardi di euro di investimenti, “di cui 150 per progetti infrastrutturali in Africa in linea con le direttrici del Piano Mattei”.

Il Piano Mattei fa quindi gola a molti, non tanto per i fondi attualmente disponibili quanto per le risorse e gli strumenti finanziari connessi, per la crescente risonanza mediatica e per la corsia preferenziale che il governo ha intenzione di dedicare agli investimenti associati al piano.

Nel mentre assume sempre più le sembianze dell’ennesimo sforzo coloniale nel continente africano, non dissimile da quelli in capo a Francia, Germania, Russia, Cina e Stati Uniti. Se le Commissioni apriranno alla possibilità di audizione, sarà l’occasione per la società civile di alzare la voce, problematizzando questo piano predatorio in salsa tricolore.

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