Meloni: accordi con i despoti e complice degli arresti degli attivisti
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I frutti amari del Piano Mattei
I risultati degli accordi di Meloni: stringere le mani ai despoti, far arrestare gli attivisti
La visita in Libia della presidente del Consiglio conferma che la sua politica sulle migrazioni è quella delle porte aperte: firmare patti con tutti, dittatori in particolare. In Cirenaica uno degli obiettivi è anche la ricostruzione della città alluvionata di Derna. Nel frattempo Saied, in Tunisia, manda in carcere la principale sostenitrice dei diritti dei subsahariani per accontentare il nostro governo
08 Maggio 2024
Articolo di Giba
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Meloni in Libia per accordi bipartisan. L’aula della Camera che rifinanzia, per il 2024, la missione di assistenza alla Guardia costiera della marina militare libica. L’arresto in Tunisia di un’attivista tra le più impegnate a difendere i diritti degli africani.

Tre fatti in due giorni che hanno un filo conduttore comune: costruire l’argine ai flussi migratori diretti in Italia. Sullo sfondo, il Piano Mattei.

Il senso degli incontri

La visita lampo in Libia della presidente del consiglio, ieri 7 maggio, è stata improvvisa per l’opinione pubblica. Ma concordata da tempo tra le istituzioni. Si è trattato del secondo volo di Meloni nell’ex colonia: il primo il 28 gennaio 2023. Successivamente, ha incontrato a Palazzo Chigi prima il ras di Bengasi, il generale Khalifa Haftar il 3 maggio 2023 e nel giugno dello stesso anno il premier di Tripoli, Abdul Hamid al-Dbeibah.

Accordi “promozionali”

Meloni, nella sua ultima vetrina, era accompagnata dalla ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro dello sport e della Gioventù, Andrea Abodi. Gli uffici stampa hanno raccontato che sono state firmate dichiarazioni di intenti per rafforzare la cooperazione nei tre ambiti di riferimento.

Ma risultano firme “promozionali”. Appare complicato, infatti, portare avanti progetti in un paese in preda all’anarchia. Solo l’ENI pare riuscirci con efficacia.

Il mantra: parlare con tutti

La visita nasce sulla scia del Piano Mattei, quello della cooperazione con l’Africa. Ma l’incontro merita una premessa. Il primo dato politico che si staglia sullo sfondo è che il mantra di Palazzo Chigi è solo uno: parlare con tutti. Lo sottolinea il Foglio: «Che si tratti della giunta golpista e filo russa in Niger o dei dittatori mascherati fra Tunisia e Il Cairo, chiunque oggi è un interlocutore di Roma». Gli scrupoli morali stanno a zero.

Banconote russe

Per questo Meloni si è recata, da sola, a Bengasi per incontrare Haftar, il leader – non riconosciuto a livello internazionale – della Cirenaica. Lo stesso finanziato e armato da Mosca. Russi che stampano perfino le banconote che finiscono nelle casse del suo esercito.

Il sito web del Consiglio Atlantico ha affermato che Mosca avrebbe inondato il mercato libico con l’equivalente di almeno 10 miliardi di dinari, aggiungendo che la maggior parte del denaro è stato pagato ai miliziani di Khalifa Haftar.

La sponda alternativa

Il copione, non ufficiale, prevede la volontà di Meloni & C di offrire al ras di Bengasi una sponda di collaborazione alternativa a quella russa. «Se non lo facciamo noi di parlare con il generale, lo farà qualcun altro» il pensiero di Palazzo Chigi. Ma l’iniziativa appare molto velleitaria.

L’obiettivo dichiarato della missione italiana – a Tripoli e a Bengasi – era di fornire i mattoni per alzare ancora più muri che impediscano l’arrivo di migranti sulle nostre coste. Soprattutto ora che arriva la bella stagione. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) delle Nazioni Unite la Libia ospita circa 740mila migranti di oltre 43 nazionalità. La maggior parte dei quali in condizioni di semi schiavitù.

Gli Haftar gestiscono la tratta di esseri umani dalle sponde orientali.

Ricostruire Derna

Ma l’incontro con Haftar è stata l’occasione per parlare anche della ricostruzione di Derna, la città della Cirenaica distrutta dall’alluvione tra il 10 e l’11 settembre del 2023 causata dal crollo di due dighe. Ricostruzione che sta diventando un business che fa gola a molti. Anche agli italiani. È una città controllata dagli Haftar. Gli stessi aiuti che ha ricevuto Derna sono stati usati per esercitare un controllo ancora più pervasivo. Il generale e i suoi figli stanno gestendo il post alluvione. Il fondo per la ricostruzione di Derna è diretto da Belgassem Haftar. Il fratello Saddam era stato, invece, responsabile della commissione incaricata di gestire la crisi umanitaria.

Le porte da bussare

Quindi è alla loro porta che bisogna bussare per accreditare aziende italiane.

Ed è alla loro porta che è necessario battere per il dossier migranti. L’obiettivo di Meloni è fermare i flussi con un approccio regionale. Per questo stringe le mani al faraone al-Sisi, al ras Haftar e all’autocratico Kais Saied.

Accordi disastrosi con Saied

L’accordo stretto con il dispotico presidente tunisino ha già prodotto effetti disastrosi. A poco meno di tre settimane dall’ultimo incontro tra Meloni e Saied sono avvenuti almeno due fatti allarmanti. Il primo: la deportazione di centinaia di migranti e richiedenti asilo, prima prelevati dalla polizia tunisina e poi lasciati bloccati al confine con la Libia. L’ong Refugees in Libya ha definito l’episodio uno «scarico di massa nel deserto».

Il secondo risultato del vertice (e della politica di esternalizzazione dei confini sottesa al Piano Mattei) è stato l’arresto di una delle figure tunisine di spicco della società civile, sempre in prima linea nel difendere i diritti dei migranti: Saadia Mosbah, presidente dell’associazione Mnemty. Arresto avvenuto poche ore dopo che il presidente Saied aveva accusato di tradimento alcuni gruppi che si battono per garantire i diritti dei subsahariani. È accusata di crimini finanziari.

Lunedì scorso, 6 maggio, durante una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, Saied ha affermato che la situazione dei migranti solleva interrogativi su chi ci sia veramente dietro al loro impegno.

Saied: “Associazioni prezzolate”

«Questa situazione non può continuare e la Tunisia non sarà una terra di insediamento per i migranti», ha affermato.

Senza citarle per nome, Saied ha attaccato anche «associazioni e organizzazioni» che,  a suo avviso, ricevono «somme astronomiche dall’estero. Queste associazioni si lamentano e versano lacrime con i media. La maggior parte dei loro leader sono traditori e mercenari», ha accusato.

Le responsabilità europee e italiane

L’avvocato e presidente della Lega tunisina per la difesa dei diritti umani, Bassem Trifi, si è posto una domanda retorica: «Possiamo credere che Saadia stia aiutando migliaia di migranti a entrare in Tunisia dai confini algerini e libici?». La risposta appare scontata. Ma Trifi aggiunge: «Quello che sta succedendo è che da un lato c’è uno stato incapace di proteggere i suoi confini algerini e libici. Dall’altro, l’Unione europea e i suoi leader di estrema destra che vorrebbero proteggere i loro confini trasferendo la responsabilità alla Tunisia».

Mosbah e la sua associazione erano state in prima linea nella difesa dei migranti subsahariani dopo un duro discorso, nel febbraio 2023, del presidente Saied, che denunciava l’arrivo di «orde di migranti illegali» nel contesto di un complotto «per cambiare la composizione demografica» del paese.

Dopo aver stretto le mani a questi despoti, Meloni non sente la necessità di lavarsele. In fondo, la difesa dei diritti non è una sua priorità. È attenta, invece, a non incespicare, proprio a poche settimane dalle europee, su un tema che ha portato così tanti consensi a destra.

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