Nell’aprile 2019 un’inchiesta dell’agenzia Reuters denunciava come gli Emirati Arabi Uniti fossero la principale destinazione dell’oro africano, buona parte del quale trasferito illegalmente.
Cinque anni dopo una nuova, accurata indagine rivela non solo che nulla è cambiato, ma che anzi il contrabbando di oro dall’Africa è continuato ad aumentare, fino a raddoppiare tra il 2012 e il 2022. Un decennio nel corso del quale sarebbero state trasferite illegalmente negli Emirati più di 2.500 tonnellate d’oro, per un valore di oltre 115 miliardi di dollari, al cambio attuale.
Lo studio pubblicato oggi dall’organizzazione Swissaid parla di quantità che vanno dalle 321 alle 474 tonnellate di oro artigianale prodotte ogni anno nel continente e non dichiarate, e di almeno 435 tonnellate contrabbandate solo nel 2022, per un valore di 31 miliardi di dollari.
Cifre che rappresentano tra il 72 e l’80% della produzione totale di oro artigianale dell’Africa.
Un mercato parallelo che coinvolge migliaia di persone, dai minatori ai trafficanti, che producono e commerciano volumi di oro pari o addirittura superiori a quelli dell’estrazione industriale certificata, che si aggira attorno alle 500 tonnellate all’anno.
Un flusso in costante crescita, che negli Emirati Arabi viene “ripulito” per essere poi commercializzato legalmente all’interno del paese e nel resto del mondo.
Dopo aver confrontato le esportazioni totali di oro da tutti i paesi africani con le importazioni nei paesi non africani, Swissaid ha rilevato incoerenze nelle statistiche ufficiali sull’export da molti paesi. Grazie a una serie di altri dati e comparazioni ha quindi stabilito che sono 12 i paesi coinvolti nel contrabbando di quantità pari o superiori alle 20 tonnellate all’anno. Tra questi Burkina Faso, Mali, Mauritania, Costa d’Avorio, Ghana, Rd Congo, Nigeria, Sudan e Zimbabwe.
Per questi stati si tratta di miliardi di dollari di mancate entrate fiscali, ma anche di un grave rischio per la stabilità, visto che in molti casi i traffici sono gestiti da gruppi armati, paramilitari – anche stranieri, come nel caso dei russi ex Wagner in Sudan, Mali e Centrafrica – o terroristi.
Le ripercussioni sono, ricorda Swissaid, conflitti armati, violazioni dei diritti umani e degrado ambientale. Problemi generati da diffusa corruzione e mancanza di controllo da parte degli apparati statali. Quelli africani, si, ma evidentemente anche quelli di destinazione.