L’autore, 40 anni, nato da genitori nigeriani di etnia yoruba, viene presentato come intellettuale transnazionale e poeta. Ha un dottorato in psicologia clinica, insegna in California e nel Vermont e vive in India con la sua compagna di vita e i loro due figli. La figlia di tre anni rappresenta il futuro, che potrà essere buono o meno buono se sapremo, oggi, sciogliere alcuni nodi: crisi ambientale, decolonizzazione, idea di razza, identità e appartenenza, spaziando dalle scienze ambientali, alla fisica delle particelle al postumanesimo.
Per capire che non si tratta del solito repertorio di buone intenzioni e di soluzioni dal fiato corto, basta gettare uno sguardo alla prima lettera che titola Tutti i colori che non vediamo.
«La modernità è la nostra casa. La nostra bandiera piantata nelle profondità di questo pianeta, in questo sconveniente carnevale di materia in movimento che fatichiamo a comprendere. Non che non ci si provi. Facciamo del nostro meglio per incontrare il mondo e dargli senso riducendolo a unità utilitaristiche funzionali al suo potenziale sfruttamento. Cerchiamo di incontrare il mondo conquistandolo. (…) Siamo come quella nave abbandonata che guardavo sempre quando andavo a Bar Beach, una spiaggia di Lagos. Si trovava a pochi metri dalla riva, né ancorata in un luogo sicuro, né esiliata tra onde erranti. Sospesa sull’orlo di una risoluzione finale, incagliata nel mezzo frustrante del cammino».