La presidenza dell’Angola ha annunciato ieri sera il raggiungimento di un accordo per un nuovo cessate il fuoco nell’est della Repubblica democratica del Congo, a partire dalla mezzanotte di domenica 4 agosto.
L’intesa si inserisce nell’ambito degli sforzi di mediazione del cosiddetto Processo di Luanda che già hanno portato a una prima tregua umanitaria di un mese, in scadenza alla mezzanotte del 3 agosto, proposta dagli Stati Uniti.
Un cessate il fuoco che è stato osservato solo parzialmente, in quanto i combattimenti tra l’esercito congolese (FARDC) e la milizia M23, sostenuta dal Rwanda, sono continuati in varie zone, in particolare nei distretti di Rutshuru e Masisi, nella regione del Nord Kivu.
Il rispetto della nuova tregua, la cui durata non è stata precisata, sarà monitorato dal meccanismo di verifica già esistente, che sarà però rafforzato, fa sapere la presidenza angolana.
A questo secondo round di colloqui, presieduti dal ministro degli Esteri angolano Tete Antonio, hanno preso parte i ministri degli Esteri di Rwanda e Rd Congo, Olivier Nduhungirehe e Therese Kayikwamba.
Da notare che, partecipando ai colloqui e sottoscrivendo tali accordi, Kigali conferma implicitamente le accuse di sostegno finanziario e militare all’M23. Accuse mosse da Kinshasa e documentate da un rapporto delle Nazioni Unite, che finora il presidente rwandese Paul Kagame ha sempre respinto.
Le speranze di arrivare a una soluzione politica alla crisi nel Congo orientale sono affidate unicamente al presidente Joao Lourenco, incaricato dall’Unione Africana di guidare gli sforzi diplomatici, dopo che l’altro tavolo di mediazione, quello di Nairobi, è «virtualmente morto», per usare le parole del capo di stato congolese Félix Tshisekedi, che il 24 luglio ha puntato il dito contro la sua controparte kenyana William Ruto, accusata di «sostenere la causa del Rwanda».
Un accordo di pace tra Tshisekedi e Kagame appare un’eventualità peraltro ancora molto remota, mentre cresce invece da mesi la tensione tra i due vicini e la disastrosa crisi umanitaria, già oggi una delle peggiori al mondo.
L’ultimo atto di una serie di accuse rivolte dal governo congolese al Rwanda – e alla comunità internazionale, colpevole, secondo Kinshasa, di non intervenire per fermare le operazioni militari rwandesi oltreconfine per appropriarsi delle ricche risorse minerarie – riguarda la denuncia di “attacchi di disturbo” dei sistemi di navigazione satellitare che interessano i voli civili nell’est.
La Rd Congo accusa l’esercito rwandese e l’M23 di compiere pericolose interferenze nei sistemi GPS degli aerei “compromettendo seriamente la sicurezza del trasporto aereo civile” e “mettendo in pericolo missioni umanitarie essenziali”.
Secondo il governo congolese le interferenze interesserebbero le zone di fuga del Nord Kivu, nello spazio aereo tra Goma a Beni, comprese le zone di Butembo, Kanyabayonga e Kibumba. Per il ministero congolese dei Media e delle Comunicazioni, intervenuto presso l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale per chiedere un’azione sanzionatoria, questi atti “sono paragonabili all’uso di armi da guerra contro obiettivi civili” e illustrano “il provato disprezzo del Rwanda per il diritto internazionale e la protezione delle vite civili”.