Sono stati posti agli arresti, in attesa dei risultati di un’inchiesta che si sta svolgendo in collaborazione con le autorità della Repubblica democratica del Congo, i caschi blu della Missione Onu in Congo (Monusco) che ieri hanno aperto il fuoco, uccidendo due persone e ferendone 14 (secondo fonti della società civile), nel territorio di Kasindi nella provincia del Nord Kivu, a un posto di frontiera con l’Uganda.
Non sono ancora state rese note le ragioni che hanno indotto i caschi blu a sparare, ma si tratta di un episodio che va ad aggravare la tensione tra Monusco e popolazioni dell’est della Rd Congo, che nelle ultimi dieci giorni ha innescato numerose manifestazioni e provocato la morte di 19 persone tra cui 3 caschi blu.
Sono più di 20 anni che gli abitanti delle provincie del nordest – Ituri, Nord Kivu e Sud Kivu – vivono in un territorio instabile, conteso da decine di gruppi armati e talora infiltrato da militari rwandesi e ugandesi. La Monusco, presente nel paese dal 1999, è ritenuta inefficace nella lotta contro i gruppi armati. Di qui il malcontento che di tanto in tanto sfocia in manifestazioni piazza. Malcontento che è anche rivolto al governo congolese che dal maggio del 2021, proprio per combattere l’instabilità, ha posto in stato d’assedio (sospendendo le autorità civili e insediano di militari) l’Ituri e il Nord Kivu.
Sempre rimanendo nel nordest, va segnalato un comunicato dell’Unicef, il Fondo della Nazioni Unite per l’infanzia, sul crescente numero di profughi nel territorio di Rutshuru (Rd Congo). Da marzo a oggi più di 190mila persone, di cui la metà bambini, sono stati costretti a lasciare i loro villaggi a causa degli scontri tra l’esercito congolese e il gruppo armato M23, che il governo di Kinshasa ritiene sia spalleggiato dal Rwanda.
L’Unicef sottolinea che migliaia di bambini hanno un acceso assai limitato a cibo, acqua e medicine. Ed è quindi necessario un intervento per evitare che aumentino i casi di grave malnutrizione.