Il governo della Repubblica democratica del Congo è nuovamente sotto accusa per le sue politiche ambientali, molto poco green. Da mesi ambientalisti e scienziati contestano il suo piano di concessioni per l’esplorazione e l’estrazione di gas e petrolio nella foresta pluviale della Cuvette Centrale, nel bacino del Congo.
Ora, altri due organizzazioni per l’ambiente denunciano che l’espansione delle miniere di oro sta distruggendo tratti di foresta pluviale incontaminata nella riserva naturale di Okapi, patrimonio mondiale dell’Unesco, nella provincia di Ituri, nel nord-est del paese. Provincia che è sotto stato d’assedio – quindi governata dai militari – dal 6 maggio 2021.
Le ricerche condotte dal Consiglio per la difesa ambientale attraverso la legalità e la tracciabilità (Codelt) e dall’ong regionale Acedh provano l’espansione delle attività minerarie nei 13mila chilometri quadrati di foresta in cui queste attività sono vietate.
Le immagini documentano che i minatori stanno scavano zone di giungla lungo il fiume Ituri che scorre attraverso la parte meridionale della riserva, habitat, tra gli altri, di animali protetti perché in via di estinzione, come l’okapi (la giraffa della foresta, di cui restano meno di 50mila esemplari in natura) e gli elefanti e scimpanzé di foresta.
La minaccia, secondo le ong, non riguarda solo la devastazione del prezioso ecosistema provocata dalle attività minerarie, ma anche da quelle legate ad altre attività umane collegate, come il bracconaggio. In particolare, accusano i minatori di cacciare specie protette per ottenere cibo e di commerciare pelli di okapi e zanne di elefante.
Sotto accusa è la società cinese Kimia Mining che già nel 2016 era stata al centro di un rapporto di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, per aver violato il divieto di dragaggio dei fiumi nella provincia di Ituri e altre normative minerarie.
E poi, ancora, nel 2021, quando Greanpeace Africa, insieme a 205 ong locali, aveva chiesto al governo di ritirare le concessioni minerarie dell’azienda cinese proprio all’interno della riserva naturale di Okapi. “Questa svendita delle foreste da parte dei ministri che dovrebbero proteggerle deve cessare, per il bene delle comunità forestali, della natura e del clima”, avvertiva già allora Wabiwa Betoko, Greenpeace Africa International Project Leader per la foresta del bacino del Congo.
Appelli non solo inascoltati, ma addirittura beffati, fa notare il Codelt, evidenziando come la distruzione ambientale in corso contrasti con l’immagine costruita dal governo della Rd Congo che si promuove invece a livello internazionale come uno dei principali attori nella lotta globale contro il cambiamento climatico, grazie proprio alla sua quota maggioritaria della foresta pluviale del bacino del Congo, il secondo polmone verde del pianeta.
Che non è l’unico ecosistema minacciato dall’espansione dell’attività mineraria, sempre più invasiva a livello globale.
A denunciarlo è un accurato studio pubblicato a settembre negli atti dell’Accademia nazionale delle scienze (Proceedings of the National Academy of Sciences), nel quale si punta il dito sulla carenza di leggi a tutela dell’ambiente e sul lassismo nella loro applicazione.
Secondo lo studio, l’espansione delle attività minerarie nelle aree forestali ha rappresentato circa il 47% (3.264 chilometri quadrati) della perdita di foreste tropicali negli ultimi 20 anni (2000-2019), con paesi africani come Ghana, Costa d’Avorio, Tanzania e Zimbabwe che hanno subìto una perdita diretta di foreste a causa dell’estrazione industriale.
Che sommata agli altri fattori, sempre umani, porta l’Africa a perdere ogni anno 4 milioni di ettari del suo, e nostro, patrimonio forestale.