In un summit che si è tenuto ieri a Windhoek, capitale della Namibia, la Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc) ha «approvato l’invio di forze militari» con lo scopo di «sostenere la Repubblica democratica del Congo per ristabilire la pace e la sicurezza nel nordest del paese».
Il comunicato della Sadc non specifica però né la data di questo eventuale spiegamento di forze né il numero di militari che intendere mettere in campo.
Assomiglia tanto a un annuncio per colmare il vuoto di proposte precise dopo una giornata di discussioni. Al vertice erano presenti i presidenti namibiano Hage Geingob (Namibia), Cyril Ramaphosa (Sudafrica), Félix Tshisekedi (Rd Congo) e Samia Suluhu Hassan (Tanzania), mentre Angola, Malawi e Zimbabwe erano rappresentati da ministri.
Se nelle prossime settimane dovesse concretizzarsi l’invio di uomini e mezzi, le tre province del nordest dell’Rd Congo – Ituri, Nord Kivu, Sud Kivu, ricche di risorse minerarie e contese da decine di gruppi armati – conoscerebbero un affollamento senza precedenti di forze militari straniere.
Oltre alla Monusco, missione Onu presente da 23 anni e oggetto di contestazioni da parte della popolazione che la accusa di scarsa efficacia, troviamo sul campo reparti dell’esercito ugandese nell’Ituri con il compito di spalleggiare le truppe congolesi, e forze della Comunità dell’Africa orientale (Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi, Rwanda, Sud Sudan) nel Nord Kivu. In questa regione sono attesi dallo scorso marzo anche uomini dell’esercito angolano, promessi dal presidente João Lourenço.
Da ricordare anche che da due anni, Ituri e Nord Kivu, sono sottoposti allo stato d’assedio: i governatori sostituiti da militari, i parlamenti sospesi, i tribunali militari si occupano anche della giustizia ordinaria. Due anni senza risultati tangibili di una ritrovata stabilità.
E nell’Rd Congo le elezioni generali del 20 dicembre si avvicinano a grandi passi. Difficile immaginare oggi che i congolesi del nordest possano esercitare pienamente il diritto di voto.