Il governo della Repubblica democratica del Congo ha denunciato Apple per il suo presunto utilizzo di “minerali da conflitto” lungo la filiera di produzione. Con questo termine ci si riferisce a risorse, in questo caso provenienti dalla Rd Congo, che vengono immesse nelle catene di approvvigionamento globali da gruppi armati non statali che le ottengono con il saccheggio e che si finanziano con il loro contrabbando. Questo traffico contribuirebbe quindi alle violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie in questione.
La mossa di Kinshasa arriva mentre il conflitto nel nord-est del paese, proprio l’area di provenienza dei minerali incriminati, peggiora e sembra allontanarsi sempre di più da una soluzione politica. La denuncia presentata dal governo congolese segue una precedente richiesta di chiarimenti e la pubblicazione di un rapporto sui traffici illeciti di minerali che erano stati fatti pervenire ad Apple lo scorso aprile.
I minerali di cui il governo congolese lamenta il furto e il traffico illecito sono le cossidette 3T: tantalio, tungsteno e zinco, che in inglese si dice tin. Il tantalio è uno dei componenti della miscela nota come coltan, il cui nome tecnico è columbite-tantalite e cui il 60% della produzione è concentrata fra Rd Congo e Rwanda. Sia il coltan che gli altri due elementi sono impiegati nella realizzazione delle batterie elettriche e sono per tanto ritenuti centrali nel contesto della transizione energetica.
Le accuse ad Apple
Per la precisione, gli atti presentati da Kinshasa riguardano le sussidiarie di Apple in Belgio e Francia. Stando a quanto si legge in un comunicato di uno dei tre studi legali che sta curando il procedimento per Kinshasa, Amsterdam & partners, sedi a Washington e Londra, nella denuncia si afferma che «Apple utilizza minerali saccheggiati dalla Rd Congo e riciclati attraverso catene di approvvigionamento internazionali», oltre a «utilizzare pratiche commerciali ingannevoli per assicurare ai consumatori» che le sue filiere sono pulite. Rispetto alle domande inviate all’amministratore delegato di Apple Tim Cook lo scorso aprile, si apprende dalla nota, la multinazionale di Cupertino «non ha fornito alcuna risposta sostanziale».
Nella nota si spiega inoltre: «La Rd Congo ha ingaggiato un team legale internazionale per affrontare individui e aziende coinvolte nella catena di estrazione, fornitura e commercializzazione delle sue risorse naturali e dei suoi minerali saccheggiati. La portata e la durata di queste attività hanno causato danni e sofferenze enormi alla popolazione civile in alcune parti del paese, alimentando un ciclo di violenza e conflitti attraverso il finanziamento di milizie e gruppi terroristici che hanno fatto ricorso al lavoro minorile forzato e alla devastazione ambientale».
La risposta di Cupertino
Apple non ha risposto direttamente alle accuse congolesi. Lo scorso marzo però, in una comunicazione alla Securities and Exchange Commission del governo statunitense, il gigante di Cupertino ha reso note le conclusioni di un audit indipendente sui suoi fornitori. Secondo quanto riferito dall’azienda, nel 2023 14 fra fonderie e raffinerie delle 235 che compongono la sua filiera di produzione sono state rimosse per non aver voluto partecipare all’iniziativa o dopo essere risultate non idonee. Apple ha affermato che non ci sono basi ragionevoli per affermare che qualcuno dei suoi fornitori restanti abbia direttamente o indirettamente finanziato gruppi armati in Rd Congo.
Nel comunicato di Amsterdam & partners non si fa mai riferimento al Rwanda. Sia la richiesta di chiarimenti che il report presentato otto mesi fa evidenziavano invece il ruolo centrale di Kigali, al punto che il documento con cui si fornivano i dettagli dei traffici denunciati recava come sottotitolo la frase «il riciclaggio delle 3T da parte del Rwanda e altri enti privati».
Nel rapporto, 58 pagine, Kigali veniva accusata di essere sia la principale animatrice sia la principale beneficiaria del contrabbando delle risorse congolesi, anche sulla base di quanto rivelato in report del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul Rd Congo. Quanto denunciato da Kinshasa e ribadito nel report trova conferma nei documenti dell’Onu ma anche in un’analisi dello European Network Against Crime and Terrorism (ENACT).
Oltre a puntare il dito su Kigali, le autorità congolesi hanno anche lamentato l’inefficacia della Tin Supply Chain Initiative (ITSCI), una piattaforma privata di tracciamento e certificazione dei minerali nata su iniziativa degli industriali del settore. In un’inchiesta di due anni fa della ong Global Witness, questo meccanismo, che nel frattempo è stato abbandonato da diversi realtà private di monitoraggio della provenienza dei minerali, è stato definito una “lavatrice” per le materie prime sporche di sangue.
Tornando al ruolo del Rwanda, il saccheggo del nord-est della Rd Congo avverrebbe in primo luogo per mano dell’M23, una milizia composta da ex militari insubordinati di origini tutsi che da due anni sta conducendo un’offensiva nel Nord Kivu anche con il sostegno del Rwanda. Secondo l’ultimo dei già citati report dell’Onu, datato luglio scorso, il governo del presidente Paul Kagame supporterebbe il gruppo armato anche sul campo con migliaia di suoi militari.
Negoziati fallimentari
Il conflitto prosegue e le ultime notizie dai fronti militare e diplomatico non sono buone. Da mesi proseguono infatti dei negoziati fra Kinshasa e Kigali nell’ambito di un’iniziativa regionale mediata dal governo dell’Angola. Un incontro che si sarebbe dovuto svolgere domenica a Luanda fra Kagame e l’omologo congolese Félix Tshisekedi è però naufragato dopo la decisione del presidente rwandese di non recarsi nemmeno in Angola. All’origine di questa mossa, il rifiuto congolese di mediare direttamente con l’M23 come richiesto invece dal Rwanda. Questa eventualità non è nemmeno contemplata dalla Rd Congo, che ritiene la milizia un gruppo terroristico e un “nemico dello stato”.
Il summit di Luanda faceva ben sperare. Non tanto per il cessate il fuoco siglato fra Rwanda e Rd Congo lo scorso luglio. La tregua non è stata firmata dall’M23 ed è stata violata più volte. A fine novembre i due governi avevano però raggiunto un’intesa di massima su un piano di ritiro dal territorio congolese delle truppe rwandesi. L’iniziativa prevedeva l’eliminazione delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda (FLDR), milizia fondata in Rd Congo da veterani di alto profilo del genocidio del 1994 della comunità hutu ritenuta una minaccia per la sicurezza dello stato da Kigali, che accusa Kinshasa di sostenerla.
L’M23 avanza
Le delusioni diplomatiche si sono tradotte presto in nuovi scontri sul campo. Stando a quanto riportato da quotidiani locali e confermato a Nigrizia da fonti sul posto, l’M23 avrebbe preso controllo negli ultimi giorni di una serie di villaggi situati a circa 70 chilometri da Butembo, importante snodo commerciale del Nord Kivu nonchè seconda città più popolosa dopo il capoluogo Goma.