Nella Repubblica democratica del Congo cresce il numero di oppositori politici e attivisti chiusi in carcere dal governo del presidente Felix Tsikeshedi per le loro opinioni contrarie all’esecutivo.
È per protestare contro questo stato di cose che opposizioni società civile e si sono dati appuntamento domani davanti al Palazzo di giustizia della capitale Kinshasa.
A convocare la manifestazione è stato direttamente Moisè Katumbi, imprenditore già governatore della regione nota un tempo come Katanga (ora divisa in quattro diverse regioni) e soprattutto candidato alle presidenziali dello scorso dicembre ad aver ottenuto più voti dopo il presidente Tshisekedi, riconfermato nonostante diverse accuse di brogli.
Katumbi, presidente del partito Ensemble por la Republique, afferma in una nota che «l’ora è grave» e che la democrazia congolese «è in pericolo».
Il sit-in programma domani, che in realtà deve ancora ottenere l’autorizzazione definitiva dalle autorità della capitale, punta soprattutto a chiedere la liberazione di diversi oppositori e membri della società civile finiti dietro alle sbarre nelle ultime settimane e mesi, spesso con modalità del tutto incompatibili con quanto stabilito dalla Costituzione congolese.
L’arresto di Kikuni
È sicuramente il caso dell’ex candidato alla presidenza Seth Kikuni, arrestato lo scorso 2 settembre dai servizi di sicurezza e trattenuto per ben 11 giorni senza accuse formali e senza che potesse comunicare con i suoi avvocati e la sua famiglia.
Secondo l’ordinamento del paese africano una persona fermata può essere tenuta in carcere senza accuse per non più di 48 ore. Lo scorso 13 settembre sono state rese note le accuse al politico, leader della formazione Piste pour l’Émergence du Congo. Kikuni è stato accusato di incitamento alla disobbedienza civile e diffusione di false voci e rischia fino a tre anni di carcere.
Le dichiarazioni incriminate, riporta la testata francofona Jeune Afrique, sono emerse nel corso di un discorso tenuto a fine agosto a Lubumbashi insieme al presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco), mons. Fulgence Muteba.
Nel corso del suo intervento, il dirigente dell’opposizione aveva messo in guardia sulle intenzioni di Tshisekedi di modificare la Costituzione e aveva incitato gli abitanti di Lubumbashi a reagire.
Il leader di Piste pour l’Émergence du Congo non è il solo a trovarsi in queste condizioni. Fra i nomi più illustri citati da Katumbi, anche l’ex segretario generale dell’attuale partito di governo Jean-Marc Kabund, condannato nel settembre 2023 a sette anni di carcere per “aver insultato il capo dello Stato” e “diffuso false voci”.
Gli anni comminati a Kabund sono più del doppio di quelli richiesti dal pubblico ministero. Le presunte offese al capo dello stato erano state pronunciate dal politico in occasione della sua uscita dal partito al potere, nel 2022, quando aveva lamentato incompetenza e corruzione nelle file di quella che ormai la sua ex formazione politica.
Lo stato di emergenza intoccabile
Fra i “prigionieri politici” in carcere, così li definisce il comunicato di Katumbi, ci sono come detto anche figure della società civile. Ultimi in ordine di tempo a essere arrestati sono stati Jack Sinzahera e Gloire Saasita, attivisti che operano nella provincia del Nord Kivu, epicentro delle attività di decine di milizie armate.
La regione è al centro da oltre due anni di un’offensiva del gruppo ribelle noto come M23, sostenuto dal Rwanda a detta di Kinshasa, Nazioni Unite e buona parte della comunità internazionale. Sinzahera e Saasita, come ricostruisce l’ong Human Rights Watch (HRW), sono stati arrestati lo scorso 1 agosto e trattenuti per più di 20 giorni senza accuse.
I due, secondo quanto riferito da un’attivista che ha potuto visitarli nella sede dell’intelligence dove sono detenuti «dopo aver pagato una tangente», sarebbero stati fermati per «aver criticato lo stato di emergenza» che Tshisekedi ha imposto nel maggio 2021 proprio nel tentativo di mettere fine all’instabilità che colpisce Nord Kivu e il vicino Ituri.
La misura, che implica l’imposizione della legge marziale e il commissariamento militare delle amministrazioni provinciali, è criticata per la sua inefficacia e per le violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione che starebbe permettendo.
Il sit-in di Kinshasa, qualora venisse autorizzato, non arriva in un momento qualunque. Sono infatti giorni decisivi per la candidatura della Rd Congo a un seggio del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, avanzata nei mesi scorsi.
L’iniziativa di Kinshasa ha già ottenuto delle pesanti bocciature, come quella della Bill Clinton Peace Foundation (BCPF), rilanciata dalla stampa locale. Secondo l’organizzazione, la Rd Congo «non soddisfa le condizioni necessarie per rivendicare una tale posizione di responsabilità internazionale» come quella nel consiglio dell’ONU.
La fondazione, aggiunge: «La moltiplicazione delle prigioni clandestine, degli arresti arbitrari, delle detenzioni illegali, delle torture fisiche e morali, così come delle esecuzioni sommarie, sono tutte pratiche ricorrenti che minano le basi stesse della giustizia e del rispetto dei diritti umani» nel paese.