«Nominerò l’anno prossimo una commissione composta da persone provenienti da diversi settori della società per elaborare una nuova Costituzione adattata alle realtà della Repubblica democratica del Congo e che non ostacoli più il funzionamento del paese».
Con queste parole il 23 ottobre scorso il presidente Felix Tshisekedi aveva annunciato la volontà di procedere con la stesura di una nuova Carta costituzionale.
Tra le reazioni negative sollevate dal progetto va sottolineata quella della Conferenza Episcopale Cattolica, unitasi a quelle del Fronte Comune per il Congo (FCC), il gruppo parlamentare dell’ex presidente Joseph Kabila, e del partito di opposizione Insieme per la Repubblica, guidato da Moïse Katumbi.
Tutti hanno espresso un no categorico alla proposta di Tshisekedi, interpretata evidentemente come finalizzata a garantirsi un terzo mandato presidenziale.
Da notare che nel 2015 era stato lo stesso allora presidente Kabila a cercare di introdurre la stessa modifica alla Costituzione che prevede un massimo di due mandati per il presidente. La decisa opposizione di vari esponenti della società civile e dei vescovi cattolici fece cadere la proposta di Kabila.
«Cambiare la Costituzione è molto pericoloso – ha dichiarato mons. Donatien Nshole, segretario generale della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) – perché può destabilizzare il paese nel contesto attuale in cui persiste grande instabilità».
«Il popolo deve decidere se vuole che venga cambiata questa storia dei due mandati prevista dall’attuale Costituzione», aveva detto Tshisekedi, facendo intendere che coloro che non sono d’accordo con la sua decisione stanno usando la questione per dividere la nazione.
In realtà, un’iniziativa uguale a quella di Tshisekedi, era stata posta in atto anche in altri paesi africani: dall’ex presidente Alpha Condé in Guinea e da Paul Biya, presidente del Camerun tutt’ora al potere.