Nell’est della Repubblica democratica del Congo il prolungamento del cessate il fuoco, decretato a partire dal 4 agosto è ampiamente violato e la milizia filo-rwandese M23 continua ad avanzare, nonostante l’intensificarsi delle operazioni dell’esercito congolese (FARDC), impegnato da mesi anche con droni e aerei.
Nessuna tregua umanitaria in corso, dunque, ma anzi, nella provincia del Nord Kivu i combattimenti sono aumentati, così come il numero di persone in fuga. Negli ultimi quattro giorni almeno altri 2.500 rifugiati congolesi sono arrivati in Uganda, dopo che l’M23 ha preso il controllo Nyamilima e di Ishasha, una località strategica sul confine.
Tra questi molte donne in gravidanza e in fase di allattamento, ma anche 98 poliziotti congolesi. “Stavano scappando dai combattimenti dell’M23, di altre milizie e dell’esercito, c’è molta violenza lì e poi c’è anche la fame”, ha detto il maggiore Kiconco Tabaro, portavoce regionale delle Forze di difesa popolare dell’Uganda.
La crisi umanitaria intanto peggiora. Più di 1,7 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case nell’est della Rd Congo, che complessivamente ospita ben 7,2 milioni di sfollati interni, secondo stime delle Nazioni Unite.
La settimana scorsa l’M23 aveva dichiarato chiaramente di non essere coinvolto negli accordi per un cessate il fuoco, siglati in Angola tra Rd Congo e Rwanda, che sostiene militarmente e finanziariamente la milizia, come hanno documentato le Nazioni Unite, seguite da Stati Uniti, Francia, Belgio e Unione Europea.
Nazioni Unite che in un altro recente rapporto puntano il dito anche contro l’Uganda, indicato come altro paese dell’area che fornisce un “sostegno attivo” alla milizia.
Non siamo “direttamente interessati dalle conclusioni delle riunioni alle quali non siamo stati invitati”, aveva fatto sapere l’M23 con un comunicato, in cui si tornava a chiedere un “dialogo diretto” con Kinshasa.
Un dialogo che il governo congolese ha finora respinto, accusando la milizia di essere la “marionetta” di Kigali.
Dinamiche regionali
Uno scenario complesso, quello del conflitto nell’est della Rd Congo, le cui dinamiche sono analizzate in uno studio, pubblicato oggi dall’istituto congolese di ricerca Ebuteli e dal Groupe d’étude sur le Congo (GEC), intitolato La rinascita dell’M23: rivalità regionali, politica dei donatori e blocco del processo di pace.
Il corposo documento individua nelle tensioni tra Rwanda ed Uganda il fattore primario che ha consentito la rinascita dell’M23, “agevolata dalla debolezza dello stato congolese” e dall’“indulgenza” della comunità internazionale nei confronti di Kigali.
“Dato il ruolo che il Rwanda sta giocando in questa crisi – conclude lo studio -, una maggiore pressione, in particolare quella finanziaria, è il primo passo più ovvio per affrontarla. Da parte congolese è particolarmente imperativa la riforma del settore della sicurezza. Il governo deve trasformare le FARDC, che servono in gran parte a distribuire privilegi ed estrarre risorse, in un vero servizio pubblico”.