Caso Regeni: l’assist di Crosetto ad al-Sisi - Nigrizia
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Le verità conciliabili del ministro della difesa
Caso Regeni: l’assist di Crosetto ad al-Sisi
Per il “braccio armato” di Meloni al governo è possibile pretendere giustizia dal Cairo e mantenere ottimi rapporti d’affari col Faraone. Per l’ex lobbysta delle imprese armate italiane, sarebbe un errore rompere i rapporti con le autocrazie. Sono sette anni dal sequestro (e poi dalla morte) del ricercatore italiano
25 Gennaio 2023
Articolo di Gianni Ballarini
Tempo di lettura 4 minuti

Salvatore Merlo, sul Foglio, lo ha incasellato tra i ministri di Fratelli d’Italia che rientrano tra gli «altoparlanti» del governo. Quelli che «si buttano su microfoni e telecamere muniti di sirena sempre funzionante. Incontenibili».

Guido Crosetto, il braccio armato del governo Meloni, non è riuscito ad arrestare la sua bulimica eloquenza neppure sul caso Giulio Regeni, il 28enne ricercatore italiano sequestrato esattamente 7 anni fa, torturato, ucciso e gettato sul ciglio di una strada che collega Il Cairo ad Alessandria d’Egitto.

Il processo è fermo da tempo, e il motivo fondamentale è che le autorità egiziane si sono ripetutamente rifiutate di collaborare con i magistrati italiani nelle indagini. Nonostante questa evidenza, Crosetto si dice sicuro che d’ora in poi la situazione potrà cambiare drasticamente.

Lo ha detto ripetutamente. Anche nella trasmissione televisiva di Rete 4 Diario del giorno del 23 gennaio: a suo avviso c’è «la volontà dell’Egitto di cooperare al 100% con l’Italia, perché c’è la necessità delle due nazioni di parlarsi (…). Si rendono conto, le autorità egiziane, che il tema Regeni è un tema importante per il governo italiano e per l’Italia, e quindi hanno tutto l’interesse e la volontà a darci risposte chiare, serie, nel tempo più veloce possibile».

Ma il kingmaker di Meloni ha svelato alla trasmissione Fininvest solo una parte del suo pensiero. Quella omessa l’ha rivelata alle agenzie di stampa in scia alla presa di posizione del suo collega di governo, Antonio Tajani: «Lo Stato deve chiedere tutta la verità e pretendere giustizia per Regeni, e contemporaneamente deve tenere rapporti con altri paesi. Le due cose sono conciliabilissime».

Conciliabilissime

Tutela dei diritti umani e affari. Un processo (se ci sarà mai) che rischia di colpire il cuore del potere egiziano e un abbraccio affettuoso con il Faraone. La denuncia di sistemi di tortura di un paese autocratico e il fare bisboccia con il suo sovrano. Definire democratico un paese che detiene 60mila prigionieri politici.

Sono atteggiamenti, azioni conciliabili? Per Crosetto ogni ossimoro è possibile, anche definire «i nostri militari costruttori di pace» (Avvenire del 4 novembre 2011). Per cui nella sua verbosità irrefrenabile, la cecità è contagiosa.

La realtà è che il processo è incanalato su un binario morto. C’è una relazione di cinque pagine, depositata al tribunale di Roma, con la firma del ministro della giustizia egiziano, che documenta come sia una farsa ogni tentativo di dire che c’è la disponibilità del Cairo a riaprire il caso. Per gli egiziani nessun processo e nessuna collaborazione sono possibili.

E la famiglia di Giulio ne è consapevole. «Basta finte promesse. È un oltraggio dire che l’Egitto collabora», hanno dichiarato i genitori a Repubblica il 23 gennaio scorso.

Affare Eurofighter

Anzi. Il loro figlio è il prezzo del disgelo. È il prezzo per riaprire la commessa sui 24 Eurofighter da vendere al Cairo. O per siglare nuovi accordi energetici. O per stringere patti anti-jihadisti. O per nuove alleanze in Libia.

È il prezzo per tante cose. Non per ottenere collaborazione per la verità giudiziale.

Crosetto lo sa. E quando era un lobbysta delle imprese armiere italiane (presidente di Aiad) l’ha pure ammesso. Nel dicembre del 2020, gli colse un coccolone quando la maggioranza parlamentare votò la risoluzione proposta da Lia Quartapelle, deputata del Pd, che impegnava l’esecutivo Conte a «mantenere la sospensione della concessione di nuove licenze per bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati a colpire la popolazione civile, e della loro componentistica» verso Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti.

In Commissione difesa del senato, l’attuale ministro della difesa vi si scagliò contro: «Bisogna intervenire sulla 185 (la legge che regola import ed export di armi, ndr). Se si vuole cooperare o meno con un paese deve deciderlo il governo, ragionando a lungo termine, non il parlamento». E aggiunse: «Gli scrupoli su Bin Salman e al-Sisi hanno bloccato i contratti in corso e la possibilità di portare avanti nuove forniture rilevanti, di cui si discuteva da tempo».

“Il mondo favoloso di Guido” sarebbe colmo di bombe, caccia e carriarmati. «È un settore ad altissimo valore aggiunto. Uno dei pochi asset strategici e tecnologici rimasti in questo paese. Il problema è che non c’è abbastanza produzione per soddisfare una domanda di investimento in tutte le nazioni». Tradotto: si producono ancora troppe poche armi.

Regeni, in tutto questo, rappresenta solo un intoppo. Poco conciliabile con i disegni di potere di questa (e di altre) maggioranza. I diritti umani sono un tema che non ha appeal in un mondo che si ciba di real politik. E poi, diciamocelo, Giulio è solo un italiano meno “fratello d’Italia” degli altri.

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