Sei mesi dopo la rielezione del presidente Faustin-Archange Touadéra e dopo la nomina del nuovo primo ministro, Henri-Marie Dondra, lo scorso 12 giugno, la Repubblica Centrafricana ha finalmente il suo nuovo governo. La nuova squadra, composta da 32 ministri – erano 34 nel precedente governo -, comprende sette donne, che rappresentano il 22% del totale dei membri, lungi, quindi, da quel 35% previsto dalla legge sulla parità di genere. Un dato comunque in rialzo rispetto al precedente esecutivo, che ne contava solo sei.
Contrariamente alle attese, il nuovo governo si consolida attorno a Touadéra, al partito al potere e alle forze alleate. Più della metà (19 su 32) sono ministri già conosciuti nella precedente legislatura, alcuni dei quali hanno mantenuto o cambiato portafoglio. Ministeri chiave, quali quello della salute, degli esteri, dell’educazione, sono rimasti in mano, rispettivamente, a Pierre Somsé, Sylvie Baipo-Temo e Moukadas Noure, tutti vicini al presidente e riconfermati alla guida dei loro dicasteri.
Alla difesa, Marie Noel Koyara, in carica durante il primo quinquennio dell’allora premier Simplice Mathieu Sarandji e in seguito in quello di Firmin Ngrebada, cede il posto a Claude Rameaux Bireau, ex ispettore della dogana e capo di gabinetto particolare dell’ex primo ministro.
Bireau raccoglie il testimone della Koyara mentre il Centrafrica vive ancora in una situazione securitaria intricatissima, soprattutto in seguito alla ribellione della Coalizione dei patrioti per il cambiamento (Cpc), in concomitanza delle elezioni presidenziali e legislative dello scorso 27 dicembre.
Tra le sue priorità, rinsaldare gli accordi di difesa bilaterali firmati dal suo predecessore con Russia e Rwanda, proseguire la collaborazione con le forze alleate attraverso la fornitura di armi, la formazione dell’esercito (Faca) e la riconquista dei territori ancora occupati dai gruppi armati.
Da notare anche il ritorno di Félix Moloua alla testa del dipartimento di Stato incaricato dell’economia e della cooperazione internazionale, in un contesto di complesse relazioni diplomatiche, specialmente con la Francia, che lo scorso 8 giugno ha tagliato la sua cooperazione militare e il suo sostegno finanziario, in seguito ad una sempre più dominante presenza russa nel Paese.
Nominati ministri anche due candidati indipendenti alle elezioni presidenziali del 27 dicembre 2020. Si tratta di Serge Ghislain Djorie, incaricato del ministero della comunicazione e dei media, portavoce del governo, e Aristide Briand Réboas, incaricato della promozione dei giovani, dello sport e dell’educazione civica.
Nel nuovo governo la gioventù non è rappresentata e pochi sono i posti lasciati all’opposizione, tra cui Mohamed Lawal e Nicole Nkouet del Rassemblement démocratique Centrafricain. Scarse anche le posizioni occupate della società civile, attribuite a personalità considerate favorevoli alla maggioranza.
Sono invece rappresentati i gruppi armati che hanno fatto il loro primo ingresso nel governo nel 2019, in seguito all’Accordo politico per la riconciliazione e la pace (Appr), firmato il 6 febbraio 2019. «Siamo davanti ad una ripresa del controllo da parte del partito che ha vinto le elezioni.
Tuttavia la porta non è chiusa e le cose possono ancora evolvere», fa sapere una fonte vicina al governo. Soprattutto in vista del dialogo repubblicano inclusivo dei prossimi giorni, fortemente voluto dal presidente Touadéra.
Popolazione allo stremo
Le sfide, che sono davanti al nuovo governo centrafricano, sono colossali. Se da una parte i grandi centri urbani sono stati liberati dall’esercito e dai suoi alleati russi e rwandesi, dall’altra i gruppi armati concentrano la loro presenza nei territori periferici, dove continuano a commettere le più aberranti atrocità sulla popolazione civile.
Località ancora occupate dai gruppi armati sono quelle della regione sud-orientale, da Zémio alla frontiera con il Sud Sudan, da Mingala a Zangba, nella prefettura della Basse Kotto, l’asse Bocaranga-Ngaoundaye, da Ndim a Paoua, nella Ouham Pendé, e sui confini delle frontiere comuni col Camerun e il Ciad.
Senza parlare poi dell’uso delle mine anti-uomo, che seminano morte tra la popolazione e paura rispetto alla libera circolazione delle persone e dei beni, causando, tra l’altro, un aumento vertiginoso dei costi dei prodotti di prima necessità e dei materiale da costruzione, che sono saliti di circa il 60% da dicembre 2020.
Ad oggi, più del 71% della popolazione centrafricana vive sotto la soglia di povertà, come rivela il rapporto del Segretario generale della Nazioni Unite, Antonio Guterrès, presentato al Consiglio di sicurezza lo scorso 16 giugno. Lo stesso rapporto evidenzia cifre agghiaccianti riguardo alla situazione umanitaria: un terzo dei centrafricani sono sfollati, di cui 738mila all’interno del Paese e 688mila sono rifugiati nei Paesi vicini.
Al primo giugno 2,3 milioni di centrafricani, vale a dire metà della popolazione, si trova in situazione di insicurezza alimentare, di cui 633mila vivono in condizione di insicurezza alimentare acuta.
Per il nuovo governo è tassativo dare risposte alle sfide incalzanti del Paese. Dove tutto è da ricostruire.