L’eccezionale intensità e frequenza di piogge e alluvioni legate alla crisi climatica, sta mettendo a rischio cedimento molte delle oltre 70mila dighe nel mondo, il 65% delle quali ha più di 50 anni.
Particolarmente a rischio sono le strutture che si trovano in zone di conflitto, che non godono più della necessaria manutenzione.
L’allarme è contenuto in un recente rapporto del IHE Delft – Institute for Water Education, considerato il più grande istituto di formazione universitaria internazionale in materia di acqua.
Lo studio fa riferimento in particolare alla condizione di alcune dighe africane, considerando “particolarmente grave” la situazione nel Sudan, paese dilaniato da 17 mesi di guerra civile.
Il caso citato è quello della diga di Arbaat, 38 chilometri a nord-ovest di Port Sudan, crollata ad agosto in seguito a piogge insolitamente forti che hanno colpito il paese quest’anno. Il bilancio è stato di oltre 100 morti e più di 50mila persone colpite, con decine di villaggi spazzati via dalla furia delle acque.
Nel report gli esperti lanciano l’allarme anche sullo stato di un’altra diga sudanese, quella di Jebel Aulia, sul Nilo Bianco, a sud della capitale Khartoum. Proprio a causa del conflitto, avvertono gli esperti, sulla struttura, costruita nel 1937, dalla fine dello scorso anno non è stata effettuata alcuna manutenzione.
“Questa diga è ora abbandonata e le sue paratoie non sono sostanzialmente azionate”, scrivono.
La manutenzione dell’impianto non è stata più eseguita da quando i paramilitari Forze di supporto rapido (RSF), in guerra contro l’esercito che governa il paese, hanno preso il controllo dell’area nel novembre 2023.
Oltre a minacciare, in caso di cedimento, la popolazione di Khartoum, l’abbandono della diga compromette anche l’irrigazione dei terreni agricoli del Nilo Bianco nel prossimo inverno.
“Il coordinamento delle operazioni di inondazione di altre grandi dighe è sempre più difficile a causa dello spostamento del personale e delle difficoltà di comunicazione”, si legge nel rapporto. “Il funzionamento coordinato di queste dighe è essenziale, in particolare data la stagione dei monsoni in corso, che ha già portato al crollo della diga di Arbaat”.
Il rapporto ricorda anche il crollo, il 12 agosto, della diga Old Kijabe, nel Kenya occidentale, e la devastazione provocata un anno fa dal cedimento di due dighe a monte della città costiera di Derna, in Libia. Una catastrofe che ha causato tra le 6mila e le 20mila vittime.
Attualmente la situazione è particolarmente critica nel nordest della Nigeria, colpito da piogge eccezionali. Nello stato di Borno il crollo della grande diga di Alau, il 10 settembre, ha causato la morte di almeno 30 persone, con circa il 15% della capitale Maiduguri, finita sott’acqua.
Le inondazioni nel paese hanno causato finora almeno 269 vittime, con un impatto su più di 400.000 persone, secondo le Nazioni Unite.
Qualcosa però si può (e si deve) fare contro il “crescente rischio di cedimento dovuto al cambiamento climatico”, avverte o studio di IHE Delft. Servono “maggiore attenzione e investimenti”, perché “il crollo di una diga e la sofferenza che ne deriva possono essere evitati, ma è necessario adottare misure appropriate”.
Le dighe inoltre, conclude il rapporto, “possono anche essere molto efficaci nel ridurre le inondazioni quando sono ben gestite. Una ricerca recente mostra che le dighe nel mondo possono ridurre del 13-21% il numero di persone esposte al rischio di inondazioni globali a causa dei cambiamenti climatici”.